Jacques Maritain ha più volte ribadito come l’azione educativa abbia bisogno
di una filosofia dell’uomo, se il suo fine è guidare il bambino verso la
propria perfezione umana, verso lo sviluppo di tutte le sue potenzialità:
l’educazione, cioè, presuppone un’antropologia che permetta di capire cos’è
l’uomo, qual è la sua natura e quali valori essa implica. Non si può avere,
infatti, un’idea di educazione senza un’idea di uomo, come ha scritto
Laberthonnière.
Per
poter tener conto della complessità della persona è necessario, quindi, un
quadro antropologico che accolga tutte le scienze che studiano l’uomo e,
accanto alle tradizionali scienze dell’educazione indicate da Mialaret
(1975), accrediti oggi anche le neuroscienze le quali, con l’approfondimento
dello studio del cervello e delle sue potenzialità, possono contribuire alla
configurazione di una nuova immagine dell’uomo e a rendere più facilmente e
compiutamente realizzabili le condizioni di un’educazione integrale, davvero
attenta alla complessità e alle risorse della persona e che sappia guidarla
responsabilmente in ogni sua dimensione, valorizzandone sia le doti fisiche
che le capacità intellettive, le potenzialità creative come la profondità
emotivo-affettiva, le esigenze e le abilità socio-relazionali come la vita
morale. Conoscendo i meccanismi mentali e neurali coinvolti non solo
nell’apprendimento ma anche nel farsi dell’allievo persona autonoma, sarebbe
infatti possibile impostare didattiche sempre più flessibili, che sappiano
avvalersi di tali conoscenze per comprendere potenzialità e difficoltà sia
cognitive che emotive dell’educando e che possano svilupparsi in modo
armonico, così che tutte le funzioni psico-mentali concorrano in sinergia
all’acquisizione delle forme della cultura, facilitando le innate
potenzialità creative presenti in ciascuno.
In
particolare, dopo quasi un secolo di disinteresse scientifico e in un
rinnovato fermento che ha invaso i settori più disparati, sono state proprio
le neuroscienze – anche in collaborazione con altre discipline – ad aiutarci
a restituire il giusto spazio alla vita affettiva, chiarendo molti aspetti
anatomici, fisiologici e funzionali dell’emozione: ci hanno consentito di
riscoprire il lato intimo della nostra persona; hanno svelato parte dei
segreti di aree nascoste del cervello; hanno mostrato la loro diversità di
apprendimento rispetto alle zone di localizzazione dei processi del pensiero
ma anche le strette interazioni tra emozione e cognizione; hanno indicato le
aree ad esse deputate quali sedi delle abilità necessarie per dominare se
stessi e per acquisire destrezza sociale; ci hanno invitato a guidare le
emozioni nel loro sviluppo, in quel delicato processo per cui attraverso le
esperienze, la cultura, l’elaborazione simbolica, il linguaggio e la
coscienza, queste reazioni biologiche si esteriorizzano in passioni,
sentimenti e affetti.
Nonostante la base biologica, infatti, l’esperienza è decisiva nel
determinare cosa provocherà in noi un’emozione, che tipo di emozione sarà,
con quale intensità e quale durata. Se il “cervello emotivo” (LeDoux J.,
2003) è programmato fin dalla nascita per reagire ad alcuni stimoli
emotivamente pregnanti, sa anche apprendere il significato emotivo di nuovi
eventi, così come sa imparare nuove risposte e disimpararne altre.
Ereditarietà genetica e ambiente si intersecano a formare l’unicità e
l’originalità di ogni persona. Il nostro cervello, ormai si sa, è infatti
estremamente plastico, capace di creare per tutto il corso dell’esistenza
nuove connessioni neuronali, indebolire quelle poco usate e rafforzare
quelle che diverranno abitudini, tratti del carattere e del temperamento.
Questo significa che possiamo continuare ad apprendere e cambiare per tutta
la vita, anche sotto il profilo emotivo (dando ancora più sostanza alla
prospettiva di un’educazione permanente e alla necessità di un’educazione
emotivo-affettiva); ma significa pure prendere consapevolezza del fatto che
stimoli educativi intenzionali hanno un correlato neuronale, implicano una
certa risposta funzionale cerebrale, così come fa inintenzionalmente quella
socio-cultura che oggi, con il suo condizionamento omologante e
deaffettivizzante, utilitaristico e mortificante determina situazioni di
povertà affettiva, conformismo emotivo-sentimentale, incompetenza empatica,
inascolto, indifferenza, inattitudine ad avviare e mantenere relazioni
interpersonali affettivamente dense e qualificate (Rossi B., 2002),
all’interno di un deserto di passioni, o in un vortice di passioni
inautentiche, che rischia di deformare la vita emozionale, inaridire il
dialogo, minare il rapporto adulto-bambino e far crescere la distanza (Borgna
E.).
Per
questo la ricerca psicologica più matura, forte anche dei risultati
neuroscientifici, invita pedagogisti ed educatori a non disperdere quel
capitale umano che è l’intelligenza emotiva, nella sua dimensione personale
e sociale, la quale sembra rivelarsi l’elemento chiave del successo e
dell’eccellenza in ogni ambito della vita, compreso quello scolastico.
Esiste, infatti, una rete intricata di connessioni neurali che lega insieme
pensieri e sensazioni, cognizione ed emozione, la quale ci permette di fare
un uso intelligente delle emozioni e di portare intelligenza nella vita
emotiva, come già aveva ipotizzato Bar-On nella metà degli anni Ottanta
(parallelamente al definirsi dell’intelligenza intrapersonale ed
interpersonale gardneriana) e come hanno più compiutamente approfondito P.
Salovey e J.D. Mayer (1989/90) e D. Goleman (1995).
È
così oggi possibile studiare l’uomo senza basarsi esclusivamente sul
pensiero e sulla razionalità, potendo restituire all’emotività e
all’affettività il valore di strumenti conoscitivi e interpretativi
dell’umanità della persona; ma è anche possibile ampliare il modello della
mente e superare la metafora cognitivista del computer, dato che è lo stesso
cervello a rivelarsi un intreccio di emozione e cognizione e a non
distinguere chiaramente tra l’una e l’altra, poiché ogni area cerebrale
coinvolta nelle emozioni è risultata implicata in qualche processo
cognitivo.
bibliografia
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Principi di neuroscienze,
Casa Editrice Ambrosiana, Milano 1994
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L., Il metodo nella didattica. L’apporto delle neuroscienze,
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Pedagogia degli affetti, Laterza, Roma-Bari 2002
Salovey P.
e J.D. Mayer, Emotional
Intelligence, in Imagination, Cognition and Personality, 9, 1990
Taylor G., J.D.A. Parker, R.M. Bagby,
Emotional intelligence and the emotional brain: Points of convergence and
implications for psychoanalysis, Journal of the American of
Psychoanalysis, 27(3), 339-354, 1999, trad. it. disponibile in
www.psychomedia.it/pm/answer/psychosoma/taylor.htm
Tratto da: "VEGA
- anno I, numero 3 (dicembre 2005)" |