COMUNITA’
OASI DON BOSCO - DOCUMENTI
La Carità
pastorale centro e sintesi della Spiritualità dell’Oasi
Meditazione per la Pasqua
La
carità pastorale è il centro e la sintesi della spiritualità salesiana. Se i
francescani hanno la povertà e i Gesuiti l’obbedienza, noi figli di don
Bosco abbiamo la carità.
Essa è la sintesi di tutti i carismi: “Aspirate ai
carismi più grandi! E io vi mostrerò una via migliore di tutte”:
la carità. Noi potremmo togliere dalla strada tutti i ragazzi, potremmo
risolvere tutti i problemi che assillano il cuore inquieto dei giovani,
potremmo anche spargere il nostro sangue per i ragazzi, ma se non abbiamo la
carità non siamo niente.
L’amore agapico è esclusivamente dono di Dio:
“Carissimi, amiamoci gli uni gli altri, perché l’amore è da Dio: chiunque
ama è generato da Dio e conosce Dio, chi non ama non ha conosciuto Dio,
perché Dio è amore. In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio,
ma è lui che ha amato noi e a mandato il suo Figlio come vittima di
espiazione per i nostri peccati”;
è lui che spande nel nostro cuore i profumi del suo amore. Essa non è una
conquista personale ma è umile e totale apertura alla fiamma d’amore di Dio;
l’esempio perfetto è Maria, lei è la totalmente aperta a Dio, prima lei è
grembo spirituale, che per fede, accoglie il Verbo di Dio e poi è grembo
fisico che accoglie nella sua carne il Salvatore fatto uomo.
“Non ho conosciuto uomo”,
nella Bibbia il termine conoscere non è inteso come conoscenza semplicemente
nozionistica ed intellettuale su Dio, ma significa fare esperienza vitale di
lui, entrare in comunione di vita con l’Amato del nostro cuore.
Però per
essere grembo accogliente di Dio occorre mettersi ai suoi piedi, come fece
Maria, la sorella di Lazzaro.
Ecco che dall’incontro adorante e amoroso col mio
Signore, posso attingere da Lui l’amore che mi abilita ad amare il fratello
e la sorella come Lui mi ama. Mi viene in mente il passo del Vangelo di
Marco in cui si narra la chiamata dei discepoli da parte di Gesù: “Salì poi
sul monte, chiamò a sé quelli che volle ed essi andarono da lui. Né costituì
Dodici che stessero con lui e anche per mandarli a predicare e perché
avessero il potere di scacciare i demòni”.
Dopo essere stato in preghiera col Padre, Gesù sceglie i discepoli perché
innanzitutto stessero con lui, per irradiare l’amore del Padre sui suoi
discepoli: “che stessero con lui…”, poi solo dopo li manda a predicare: “e
anche per mandarli…” ecco che qui viene evidenziato il primato dello stare
con Gesù, altrimenti il nostro stare in mezzo ai ragazzi diventa una
professione, un lavoro, una ricerca frenetica ed egocentrica di amore.
Anche S. Agostino si è accorto che è facile
dimenticare Dio e buttarsi a capofitto sulle creature, per ricercare in esse
il bisogno innato in noi di felicità: “Tardi ti ho amato bellezza tanto
antica e tanto nuova. Tardi ti ho amato! Tu eri dentro di me, ma io stavo
fuori. Ti cercavo qui, gettandomi deforme sulle belle forme delle tue
creature. Tu eri con me, ma io non ero con te. Tu mi hai chiamato, il tuo
grido ha vinto la mia sordità”.
Gesù ci rende capaci di amare con purezza di cuore, il suo amore purifica
tutte le incrostazioni del nostro amore possessivo. Ecco perché don Bosco
affermava che il consiglio evangelico della castità doveva risplendere dai
volti dei salesiani. Sappiamo molto bene che vivere casti non consiste solo
nel non avere moglie o nel fare uso della enialità, ma castità significa
avere un cuore grande come quello di Cristo, nel quale ogni ragazzo trova
posto; un cuore che ama il ragazzo così come è: pregi e difetti. Questo
amore è crocifiggente, anche mamma Margherita quando don Bosco diventò prete
gli disse: “Giovanni ora sei prete, ed essere prete significa incominciare a
soffrire”, ella non ha fatto studi teologici o psicologici, ma lo ha capito
ugualmente. Sì, perché amare significa anche soffrire, ce lo ricorda anche
Giovanni nel suo Vangelo: “Voi sarete afflitti, ma la vostra afflizione si
cambierà in gioia. La donna, quando partorisce, è afflitta, perché è giunta
la sua ora; ma quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più
dell’afflizione per la gioia che è venuto al mondo un uomo. Così anche voi
ora siete nella tristezza; ma vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si
rallegrerà e nessuno vi potrà togliere la vostra gioia”.
Anche don
Bosco disse ai suoi salesiani di non fare mortificazioni straordinarie, ma
di fare penitenza attraverso l’obbedienza quotidiana: amare è sapersi
adattare a tutte le situazioni in cui veniamo a trovarci: il brutto tempo,
il ragazzo che fa perdere la pazienza, il fratello della comunità che viene
a disturbarti mentre lavori perché ha bisogno di essere ascoltato, il non
essere capito, ascoltato… dalle persone che ti stanno attorno. Quindi la
carità pastorale è lo Spirito che ci spinge, come Gesù nel deserto, a
cercare anime per portarle a Dio: “Da mihi animas, coetera tolle”.
Ecco il motto di don Bosco ricerca appassionata dei giovani per consegnarli
a Dio. L’espressione è stata raccolta nella liturgia per la solennità di don
Bosco: “Suscita anche in noi la stessa carità apostolica che ci spinge a
cercare le anime per servire te, unico sommo bene”.
Come don Bosco anche noi fratelli dell’Oasi non
dobbiamo avere altro che a cuore le anime, a noi gli onori da parte delle
persone importanti, i titoli altisonanti (dottore, professore, psicologo,
educatore …) non ci interessano, perché la scena di questo mondo passa e
saremo giudicati sull’amore che avremo avuto per i fratelli e le sorelle più
piccoli che il Signore ci ha posto accanto per amarli e per amare Lui in
loro.
L’amore è il
marchio della spiritualità di don Bosco. Il cammino di don Bosco verso Dio
si realizza nell’amore concreto verso i suoi ragazzi, vivaci, esigenti,
imprevedibili. La sua santità si attua nell’affrontare le urgenze vitali dei
giovani, i loro problemi assillanti e concreti: per loro cerca pane e
mestiere, ma prima di tutto gli sta a cuore la loro salvezza.
Don Bosco, insomma, spera sempre nell’amore di Dio e
dei giovani, cogliendone l’impeto a santificarsi. E’ quanto ha insegnato
tanto spesso ai salesiani: “Vuoi fare del bene ai tuoi giovani! Prega di più
per loro. Fai sacrifici per loro. Vuoi farli più buoni? Diventa tu più
santo”.
Così la
carità del Buon Pastore trova la sua espressione educativa nella bontà,
ossia nell’amore visibile e familiare che sa suscitare una risposta d’amore
e crea un clima di amorevolezza che conquista i cuori. Così la carità
incarnata diviene centro propulsore della spiritualità salesiana: la nota
tipica che caratterizza è un amore che sa farsi amare, un amore che suscita
amore; un amore dimostrato che libera e salva.
Nell’importante lettera da Roma del 1884 don Bosco ne
richiama tutta la rilevanza e ne rivela il significato mistico: “Come si
possono rianimare questi cari giovani? Con la carità… Gesù Cristo si fece
piccolo coi piccoli e portò le nostre infermità. Ecco il maestro della
familiarità! Gesù Cristo non spezzò la canna già fessa; né spense il
lucignolo che fumigava. Ecco il vostro modello”.
La mistica
del Da mihi animas consiste nella profonda comunione con Dio che
forgia il cuore dell’educatore predisponendolo alla dedizione totale e al
servizio generoso. L’ottica della mistica di don Bosco sta in questo:
imparare da Dio ad amare, partecipare all’amore di Cristo, coltivando un
cuore apostolico che sa darsi senza riserve a salvare la gioventù. Questo
amore per i giovani può essere vissuto e coltivato solo nella vita fraterna.
Essa diventa immagine, icona dell’amore che circola tra le tre Persone della
SS. Trinità.
In breve questo è il programma di santità che noi
figli e figlie di don Bosco siamo chiamati ad incarnare nelle pieghe di
tutti i giorni. Maria, Madre dell’Oasi ci renda “cultori della calde utopie
dalle cui feritoie sanguina la speranza sul mondo”.
I Fratelli
dell’Oasi Don Bosco
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