Ogni
discorso sulla "famiglia" sarebbe incompleto se non
riguardasse anche i figli. Però lo stesso discorso resterebbe
incompleto all'infinito qualora volesse trattare la psicologia del
bambino. Inoltre la psicologia infantile è già abbastanza nota,
anche a livello divulgativo, per cui ci sentiamo esonerati dal
trattarla. Ci pare più interessante aggiungere alcune riflessioni
sui problemi che i figli creano, ai genitori ed alla famiglia, in età
adolescenziale.
Ecco
dunque una sommaria carrellata sulla problematica degli adolescenti.
L'età
considerata va dai 13 ai 19 anni, l'età dei teen-agers, così
chiamati perché in inglese, i numeri dal 13 al 19 terminano in
"teen". La crisi dell'adolescenza, età critica per
definizione, è determinata da tre eventi che, costituendo
altrettante perdite, possono ben definirsi "lutti": quello
per la perdita del corpo infantile al quale inevitabilmente ci si
era affezionati, il lutto per la perdita del ruolo infantile, ed
infine il lutto per la perdita dei genitori dell'infanzia e cioé
del modo come le figure genitoriali erano state fino a quel momento
vissute. La drammaticità insita in questo concetto di triplice
lutto va naturalmente ridimensionata perché, a ciascuna di queste
perdite, corrisponde una conquista, quindi un punto di partenza per
un ulteriore sviluppo verso una progressiva individualizzazione
dell'essere umano; per la perdita cioé, del corpo infantile, del
ruolo infantile, delle figure genitoriali vissute infantilmente, si
ha la conquista di un corpo adolescenziale, di un ruolo adulto, di
un incontro con le figure genitoriale in senso più maturo. La
perdita del "corpo" infantile. Il mutamento adolescenziale
ha la sua massima evidenza sul piano fisiologico. L'eruzione della
sessualità è violenta. E' come una palla immersa nell'acqua e
improvvisamente liberata: non si limita ad affiorare alla
superficie, ma schizza al di sopra di essa. La prima manifestazione
della sessualità è l'autoerotismo, una tappa inevitabile; Freud
diceva: "se un uomo di venticinque anni dice che non si è mai
masturbato, significa che si masturba ancora". Poi lentamente
si prende confidenza con l'altro sesso e, superati i normali blocchi
dell'iniziale timidezza, si entra in una specie di terreno minato.
Ma
che cos'è un terreno minato? Un pericolo solo per il nemico che non
sa dove sono nascoste le mine. Ecco il valore dell'educazione
sessuale. Gli adolescenti dovrebbero sapere tutto, senza alcuna
reticenza, ed al momento giusto, che è quello in cui il ragazzo
balbetta timoroso qualche richiesta di spiegazione e quindi si
mostra maturo per un'informazione che i genitori non devono
lesinare. Solo così si eviterà ogni pericolosa mitizzazione del
sesso, e si potrà eliminare quel fascino del proibito e quell'ansia
di curiosità che possono sfociare in letture e fantasie con effetto
indubbiamente perturbatore; solo così si permetterà ai
giovanissimi di incontrare la sessualità nella dimensione più
giusta e più ricca: una felice sommazione di affettività e
genitalità; quest'ultima infatti non è affatto sinonimo di
sessualità: è solo il complemento che l'istinto offre, in termini
puramente fisiologici e strumentali, ad un incontro interpersonale
che è, inizialmente e sostanzialmente, affettivo, fatto di
comunione spirituale, di rispetto, di rinunce, di disponibilità ad
ogni tipo di dono; in altri termini di amore. Nel nostro clima
socio-culturale, lo psicologo non approva il libero amore, ma
sollecita la diffusione di una saggia educazione sessuale; in altre
parole auspica non una libertà sessuale, ma una libertà dalla
problematica sessuale. La perdita del "ruolo" infantile.
Nella vita di tutti c'è il momento in cui ci si sente dire
"adesso sei grande", "non sei più un bambino",
"ormai sei un ometto" (o una donnina) e frasi simili:
sembrano formule con cui si concede un'onorificenza, spesso sono
traguardi ambiti da tempo, ma talvolta possono evocare l'immagine di
un baratro che si spalanca sotto i piedi. Se qualcuno risente troppo
acutamente del possibile stress implicito in queste formule, ne
sopporta le conseguenze per tutta la vita: chi non conosce persone
che reagiscono con una crisi depressiva ad ogni promozione, ad ogni
scatto di carriera, ogni volta che si vedono affidato un ruolo di
maggior responsabilità? Sull'uscio dell'infanzia, più o meno
bruscamente, ci si accorge di esistere. Esistere è qualcosa di più
di essere; è un essere con uno scopo, con il sentimento della
propria individualità, con la consapevolezza dell'ambiente, delle
difficoltà, delle ambizioni, dei limiti, dell'ansia nascosta dietro
ogni angolo e sempre pronta a colpire. Cominciando ad esistere è
inevitabile fare un inventario dei propri mezzi; ciò che si scopre
di buono non desta stupore perché, sull'onda dell'euforico
entusiasmo infantile, si da per scontato che ci sia; ciò, invece,
che si scopre di negativo, non si riesce a giudicarlo con serena
esattezza, ed assume subito la dimensione di un problema. Ecco
allora affiorare infinite motivazioni di inferiorità. Il complesso
d'inferiorità, in effetti, non dovrebbe esistere: ognuno di noi può
sentirsi inferiore a dieci persone perché, per esempio, quelle
hanno una macchina più bella; ma ognuno si consola rapidamente, sia
cercando altre dieci persone che posseggono una macchina più
brutta, sia scoprendo che, su un altro parametro, si è tutt'altro
che inferiori. Questa salutare interferenza del ragionamento manca
nell'adolescente: egli percepisce un problema e lo vive con violenta
risonanza emotiva senza la forza di contrarlo o ridimensionarlo:
statura bassa, naso lungo, famiglia povera, l'acne, ecc., diventano
drammi, e della peggiore specie, e vengono vissuti come simboli di
destino avverso, se non come schiaccianti condanne senza possibilità
di appello. "Ormai devi decidere da te". Sembra facile.
Dopo tanti anni passati su un carrello che qualcuno faceva scorrere
su un binario, e che su quel binario scorreva godendo i diritti di
una precedenza assoluta, all'improvviso ci si trova in mezzo al
traffico più caotico, senza binario, con un volante tra le mani,
tra gente che pretende che uno se la cavi da sè, e bene, solo perché
ormai è un ometto.. Il minimo che possa succedere è che si sbagli.
Non è raro che lo psichiatra si senta consultare da dei genitori
perché i loro figli sono incostanti, "stuferecci",
"vogliono un sacco di cose e poi piantano tutto li".
L'incostanza è un difetto nell'adulto, ma la regola
nell'adolescente. Quando sentiamo qualcuno dire "abbi pazienza,
io sono fatto così" non lasciamoci commuovere: nessuno è
fatto in un certo modo; viceversa così ci è diventato, anzi ha
voluto diventarci.
Nel
corso dell'adolescenza l'individuo tenta tutte le modalità di
comportamento (come chi compra una stoffa: prima, ne tocca tante, le
guarda alla luce naturale, se le drappeggia addosso, ecc.) alla
ricerca di quella che gli giova di più, che è più economica e più
conveniente, che gli da più soddisfazioni. Tutti hanno provato ad
essere riflessivi o impulsivi, ossequenti o ribelli, disponibili o
invadenti, adattabili o pretenziosi, poi ognuno ha ripetuto le
esperienze che lo hanno maggiormente soddisfatto, eliminando via via
le altre, ed ha finito con il comportarsi nel modo che, tutto
sommato, ha preferito e finalmente scelto. Gli istinti sono in noi
già alla nascita, ma alcune tendenze del temperamento, e
soprattutto gli elementi del carattere, si formano così come noi li
vogliamo, attraverso una lunga e spesso sofferta serie di scelte e
di esperienze. E' ovvio che, durante queste prove, si proceda a
zig-zag, e cioé che si sia incostanti. Un altro incidente non raro
nell'adolescenza è la crisi della religione. Anche questa è
naturale, essendo la logica conseguenza di un mutamento che
l'adolescente si sente imporre sia a scuola che a casa. Prendiamo ad
esempio la storia, che viene insegnata tre volte dalle elementari al
liceo: prima ci si limita ai fattarelli, agli aneddoti più
spettacolari, alla presentazione dei più leggendari conquistatori.
Poi si ricomincia daccapo con un appesantimento di dettagli, con una
miriade di nomi e di date che, se imparati bene, trasformano lo
studente, inutilmente diciamolo pure, in un potenziale concorrente a
qualche telequiz. Infine, al liceo, si cambia tutto: basta con le
frasi storiche (Cesare, alla testa delle sue legioni, attraversa il
Rubicone dicendo Ç il dado è tratto '), basta con le date e con i
nomi (era il 13 gennaio del 49 a.C., Cesare tornava dalla Gallia,
dove aveva sconfitto Vercingetorige, alla testa della XIII legione,
e tornava a Roma per combattere Pompeo); adesso si vuole sapere
"perché" tutto questo accadde. La stessa virata nella
condotta didattica si verifica nelle altre materie, non ultima la
filosofia. Lo studente era stato educato ad imparare e memorizzare
tutto ciò che gli si diceva, come fossero altrettante verità
rivelate cui credere ciecamente come a dogmi di fede; ad un tratto,
dallo studente si pretende che si renda conto di tutto, che
"capisca", che ragioni, che conquisti la dinamica
razionale di un fenomeno scientifico o di un evento storico. Una
volta acquisita questa nuova forma mentis, l'adolescente non può
esimersi dalla tentazione di applicarla anche al mondo
extrascolastico, sicché tempesta di "perché ?" la
famiglia, le tradizioni, la religione. Ma a questi "perché"
rispondere è difficile, se non impossibile. Allora si incrina
l'autorità dei genitori, allora si contestano le usanze, allora si
incontra la religione come un fatto che, per definizione? Sfugge
alla logica essendo, e non potendo essere altrimenti, un atto di
fede, sul tipo di quelli che la scuola prima alimentò e poi ha
proscritto; e allora la religione entra in crisi; continua ad essere
presente nell'esistenza dell'individuo, ma in veste di problema
(essa, che vuole offrirci non problemi ma semmai un strumento per
affrontare i problemi), e viene, perciò, nella migliore delle
ipotesi, accantonata in attesa di un chiarimento e di un riesame. La
perdita dei genitori infantilmente vissuti. Un'altra caratteristica
dell'adolescenza è la riscoperta dei genitori. Si dice, e
giustamente, che, a cinque anni il papà è una specie di Dio, a
dieci è "tanto bravo e buono ma certe volte non lo
capisco", a venti è "un matusa, un semifreddo, un
insopportabile egoista" , a venticinque... "però, qualche
volta ha ragione", a trenta "o capisco benissimo, è
sempre nel giusto". E siccome, verso i trenta, si diventa padri
o madri a propria volta, si adotta quel modello, e così si rinnova
e si ripete la storia dell'eterna rivalità tra padri e figli.
Nell'età adolescenziale i genitori subiscono un profondo
ridimensionamento; i genitori sono le prime vittime della
rivoluzione privata che ogni adolescente scatena e conduce mentre
attraversa il lungo corridoio tra infanzia e maturità.
Nell'adolescente, la competizione con il padre si sostituisce
all'infantile desiderio di identificazione. E' vero che il padre è
un maestro, e che "tristo è il discepolo che non supera il suo
maestro", ma ci sono limiti in ogni cosa. Nell'ansia di uscire
dal limbo adolescenziale il giovane preferisce la sfida
all'emulazione. E poiché spesso la ragione finisce per essere
appannaggio del più forte, e il più forte è sempre il padre, la
sconfitta è mal sopportata ed acuisce il contrasto. Una
caratteristica dell'adolescenza odierna è l'ansia di accelerare
questo processo competitivo. Non è un elemento negativo a priori.
E'
chiaro che oggi si matura più in fretta e che, perciò, un
diciottenne non sopporta di essere trattato come il coetaneo di una
o due generazioni fa. Gli adolescenti odierni sono più vivaci, ma
anche più maturi. Forse non si accontenterebbero se si vedessero
valorizzati e rispettati, ma è un tentativo che potrebbe e dovrebbe
essere fatto. Nelle famiglie dove il padre è amico del figlio,
l'adolescente è più sereno. Avrà anche lui tanti problemi legati
all'età ma non quello del "senza famiglia" volontario. E
non smania di "evadere", con droghe o azioni o fantasie,
perché l'adolescente adattato, che vive in un ambiente
psicologicamente sano, sa bene che l'adolescenza è una fase
transitoria da cui è inutile evadere; basta aspettare. E per chi
non passa le ore a fissare nervoso le lancette dell'orologio, il
tempo passa in fretta. Parlare di adolescenti significa, almeno
oggi, parlare anche di droga. Un figlio che si droga mette
automaticamente in crisi qualunque famiglia. Proviamo a precisare la
dimensione giusta di tali crisi. La via della droga è paragonabile
ad una lunga scala, i cui gradini terminali sono estremamente
pericolosi. Già chi supera la metà di questa scala è avviato ad
un brutto destino ed ha bisogno urgente di esperti e di strutture
per disintossicarsi, smettere, rieducarsi, salvarsi. A questo punto,
qualunque intervento deciso ed autoritario dei genitori è salutare
ed auspicato: ne va di mezzo la vita dell'adolescente. Ma, a questi
livelli gravi, il problema interessa solo una esigua minoranza. La
droga è viceversa un fenomeno di massa ai livelli minimi di prime e
solitarie esperienze. In quasi tutte le scuole è sempre più
difficile trovare un diciottenne che non abbia mai fumato. Provare
la marijuana non è proprio un titolo di merito né un passaporto
per il mondo dei grandi né dimostrazione di coraggio; molto più
banalmente, è solo una curiosità, una tappa pressoché obbligata,
un'esperienza che è più facile fare che rifiutare. La maggior
parte dei giovani è oggi consapevole della pericolosità della
droga, perciò una volta soddisfatti se stessi e l'ambiente con la
fumatina di iniziazione, è difficile che si prosegua. Tornando
all'esempio della scala si può dire che i primissimi gradini non
danno le vertigini e, pur se si cadesse, non ci si farebbe male.
perciò, tutto sommato, poco male a salirli. Il comportamento
ottimale della famiglia, nel caso di un figlio che si droga,
consiste nel conservare aperto lo scambio di comunicazioni e nello
sdrammatizzare l'evento: quindi niente provvedimenti d'emergenza,
niente colpevolizzazioni né processi, poco allarme, molta
attenzione, massima comprensione. Il problema scatta solo nel caso
che i giovani insistano. E diventa un problema che investe la
serenità e le responsabilità dell'intero nucleo familiare. I
giovani drogati provengono da tutti i livelli sociali, ma sono più
frequenti nelle classi sociali più povere, nelle famiglie spezzate
o inesistenti, nelle famiglie che, pur risultando normali sulla
carta, sono prive, in effetti, di comprensione, comunicabilità,
stima reciproca. Il ricorso alla droga può considerarsi
un'espressione di disadattamento. Quando il problema si pone in
termini clinici, lo psichiatra è costretto ad agire Ç a valle ', e
cioé quando la tossicomania è già in atto. Ma le cause vanno
ricercate Ç a monte ' affinché la terapia si svolga sul terreno
psicologico nel quale la tossicomania si è sviluppata o si può
sviluppare. E vero che riformare la società non rientra nei compiti
del medico, ma in essi rientra il dovere di denunciare che la
tossicomania, oltre che malattia a sè stante, è Ç sintomo ' di
un'altra malattia a livello sociale o familiare. La cura di questa
è la più sicura garanzia per prevenire l'altra. La caratteristica
precipua dell'adolescenza è il conflitto tra il desiderio
d'indipendenza e quello di protezione: il fine intimamente voluto,
l'emancipazione, contiene un elemento indesiderabile, la perdita dei
vantaggi della dipendenza. Da una parte, dice Bertini, si nota la
motivazione positiva verso l'assunzione di un atteggiamento adulto
di autonomia; dall'altra però la paura più o meno avvertita di
abbandonare l'ambito di quella sicurezza conferita dalla situazione
di dipendenza specie familiare: il conflitto raramente emerge in
superficie ma si evidenzia nel comportamento ambientale. Viene in
mente il quadretto tipico di quella ragazza di 13 anni che dice alla
mamma : "Mamma stasera c'è una festa dalle mie amiche, che
vestito mi metto?" e la mamma le risponde: "Ma, guarda,
credo che tu debba mettere il vestito azzurro". La bambina
subito di rimando: "Ecco, che modo di rispondere, il vestito
azzurro è ormai passato di moda, non lo mette più nessuno, è una
cosa anacronistica; non hai capito che sono cresciuta, che sono
ormai grande". La mamma è preoccupata di questo sfogo e
temendo di non aver rispettato il bisogno di autonomia, la volta
successiva, quando la bambina chiede di nuovo "Mamma, che
vestito mi metto?", dice "Cara, metti quello che vuoi tu.
Figurati. Fai da sola, prendi quello che vuoi". "Ecco,
replica la ragazzina, e pensare che la mamma della mia amica ha
scelto il vestito, si è data da fare, si è preoccupata di
trovarglielo e poi l'ha aiutata a stirarlo, insomma ha fatto tutto
lei. Tu, invece, mi dici: fai quello che vuoi. Praticamente mi
abbandoni a me stessa". Ecco un esempio molto banale, in cui il
comportamento ambivalente fa capire la natura del conflitto non
risolto dal soggetto. Questa è l'adolescenza. Una maschera di
baldanza che nasconde un'infinita insicurezza. L'adolescente è
terribilmente insicuro (questa è la sua unica costante) ed ha un
enorme bisogno di due cose contrastanti: la riprova continua della
propria maturità, e l'altrettanto continua presenza attiva di una
guida (disprezzata e rifiutata a parole, quanto cercata ed ambita in
effetti). Vuol saper decidere da sè, ma è paragonabile
all'esploratore che intraprende di sua volontà un viaggio nella
giungla, ma che ha bisogno di servirsi di una guida che lo aiuti a
realizzare i suoi progetti senza il pericolo di perdersi o di finire
in qualche banco di sabbie mobili. Diventare genitori è facile,
difficile è esserlo. Specie quando sono adolescenti, i figli hanno
un enorme bisogno dei genitori. Loro non vogliono ammetterlo, ma noi
teniamolo presente. Lasciamoli fare, lasciamoli esperire tutto
quello che vogliono, ma non abbandoniamoli mai, restiamo loro
accanto, disponibili senza riserve ogni volta che ci chiedono aiuto
o che, anche se non ce lo chiedono, ci fanno capire che ne hanno
bisogno. Disponibilità: una parola d'ordine che potrebbe avere le
virtœ di una panacea.
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Castighi
e punizioni
I
genitori sono continuamente alla
ricerca di mantenere il giusto equilibrio tra le sfide dei figli e
le opportune regolamentazioni, tra le disobbedienze dei bambini e le
necessarie limitazioni. Per trovarlo devono però fare i conti con
la propria storia, i propri genitori interni, le proprie risorse, le
proprie vicissitudini dell'infanzia. Quando madri e padri sono in
difficoltà corrono il rischio di creare un ambiente affettivo dove
diventa proprio difficile crescere. I genitori possono perdere la
pazienza, la giusta distanza, la funzione educativa di fronte al
figlio che li sfibra chiedendo loro un'attenzione che non sono in
grado di dare. Mamma e papà possono non farcela a regolare, con
affetto ed empatia, i comportamenti del loro bambino perché sono
stanchi, perché vivono turbamenti soggettivi, per mancanza di
spazio interno, per eventi personali che, a loro volta, non li hanno
aiutati a sviluppare buone competenze genitoriali. Si rompe così,
in maniera dolorosa per tutti, quel filo affettivo che aiuta
genitori e figli a capirsi.
Il
gioco delle parti
Il
genitore dovrebbe saper dire di no e rimanere fermo nelle sue
posizioni di diniego. In senso operativo bisogna saper mettere
semafori rossi: non fargli guardare la televisione se un momento
prima aveva disobbedito ad un ordine, proibirgli di andare a giocare
in giardino se non ha ancora finito i compiti, decurtargli la
"paghetta" se ha fatto stare in pensiero i genitori...
Sono tutte soluzioni contrattuali non paragonabili alle percosse.
Ma, si sa, bruciano al bambino sia perché gli fanno mancare delle
cose a cui tiene, sia perché sono ferite al suo desiderio di
ottenere ciò che vuole. Alle volte, però, bisogna arrivare anche
alla sculacciata che non fa male in sè, ma ridimensiona i capricci
del bambino. Molte volte i figli la cercano proprio perché hanno
bisogno del limite. Il genitore deve allora saper imporre dei
divieti poiché questi sono rassicuranti per i figli. Se non lo
facesse il limite verrebbe sostituito, come purtroppo succede fin
troppe volte, da un platano contro cui vanno a sbattere quei giovani
che non hanno interioriz-zato le norme, né dal punto di vista
esterno né dal punto di vista interno, cioé né come codice della
strada né come nozione di pericolo. Torniamo alla questione
dell'elettricità perché è una cosa sicura, netta, sulla quale non
vi sono dubbi al mondo. Il genitore che, fortemente allarmato e
altrettanto deciso, inibisce il bambino dal toccare la spina della
luce, gli trasmette un limite invalicabile che non può essere
assolutamente equivocato. E' quindi necessario che i genitori
abbiano una loro idea ben precisa di ciò che fa bene e di ciò che
fa male, di quello che è nel segno della salute e di quello che è
nel segno della dannosità. Sono i genitori, allora, che dovrebbero
chiarirsi, per primi, le loro opinioni. Solo quando se le sono
abbastanza chiarite i loro sì e i loro no risultano fondanti anche
per i figli. E' la storia del vecchio, dell'asino e del bambino,
quella in cui se il vecchio va a piedi e il bambino va sull'asino la
gente dei paesi che attraversano dice: "Guarda che vergogna
quel bambino fa andare a piedi quel povero vecchio!". Se,
viceversa, sentendo quanto dice la gente, il bambino scende e il
vecchio sale sull'asino, nel paese successivo tutti dicono:
"Guarda lì un adulto che fa andare un bambino a piedi, com'è
sfruttata l'infanzia!". Allora vecchio e bambino salgono tutti
e due sull'asino per non sentirsi dire una cosa o l'altra e, nel
paese successivo, si sentono apostrofare così: "Guarda quel
povero asino sfruttato da quei due che lo gravano del loro
peso!". Allora, vergognandosi, scendono tutti e due e,
nell'ultimo paese, si sentono dire: "Guarda che stupidi quei
due che hanno un asino e vanno a piedi!". Nessuna decisione
viene approvata da tutti. La storiella ci insegna che mamma e papà
dovrebbero formarsi una loro visione, abbastanza consolidata, per
reggere di fronte alla multiformità dei commenti. Crescere per far
crescere Se mamma e papà non sapessero mai dire no, farebbero del
proprio figlio un onnipotente, incapace di tollerare la
frustrazione. Se invece non sapessero mai dire di sì, ne farebbero
un essere incapace di provare piacere e gioia. In genere madri e
padri, in maniera rigida, ripetono verso i figli il trattamento che
essi ebbero da parte dei propri genitori. A violenza subita
corrisponde allora altrettanta violenza verso i figli e, a poca
autorevolezza di mamma e papà, corrisponde invece poca capacità di
farsi rispettare. Altri proiettano sui figli, in maniera
compensativa, l'immagine ideale di quello che pensano avrebbe dovuto
esser fatto loro. Si ha così uno sbilanciamento in senso opposto.
Infatti i genitori fortemente repressi da figli, si astengono dal
reprimere i loro bambini, mitizzando un regime privo di regole.
Queste modalità portano mamme e papà a delle vere e proprie
distorsioni nella lettura dei comportamenti dei propri bambini. E'
l'immedesimarsi in quello che possono provare gli altri che permette
di non invadere continuamente lo spazio altrui. Ci vuole perciò una
buona educazione da parte dei genitori per far apprendere ai figli
come fermarsi quando ciò che fanno diventa fastidioso per gli
altri. Sarebbe invece più opportuno fare il contrario. Il neonato
va assecondato parecchio. Il bambino, quando comincia a
scolarizzarsi, va invece contenuto poiché è in grado di accettare
molto di più i limiti e le frustrazioni. Ed è qui che però
subentra l'incapacità dei genitori a contrastarlo. Questo avviene
perché confondono se stessi con il bambino. E' una confusione che
non c'è nelle prime fasi di vita del figlio poiché questa
esperienza, piuttosto lontana nella mente dei genitori, non
favorisce la loro immedesimazione con il figlio neonato. Per il
bambino, però, è la prima relazione con mamma e papà ad essere
così totale ed importante da divenire decisiva nello stabilire il
colore della sua vita. E' proprio questo primo rapporto che lascia
tracce incancellabili sul figlio. E se questi segni sono
contraddistinti dall'incomprensione e dalla mancanza di
comunicazione, vengono poi pagati cari in età successive. Le troppe
frustrazioni lasciano conseguenze che dovranno essere in seguito
risarcite con enormi interessi. Diventa allora necessario
somministrare la frustrazione ai figli con una certa gradualità e
una certa progressività. Non possiamo pretendere sotto-missioni
precoci da un "esserino" che non è in grado di tollerarle
ed elaborarle, ed è per questo che la regolamentazione dei
comportamenti del piccolo deve essere allora pretesa con gradualità.
Le regole possono essere messe dentro ai figli in maniera garbata o
in maniera prepotente. Infatti, se diamo da mangiare ad una persona
in modo sforzato, è facile che sputi, vomiti, non digerisca quello
che le abbiamo dato o che le resti tutto sullo stomaco. Mentre se il
cibo le viene invece proposto quando ha fame e con maniere
accettabili, è assai più facile che venga preso dentro, venga
anche digerito, assimilato e costituisca così un arricchimento sia
corporeo che psicologico della persona. Le regole fatte entrare con
la forza, con l'intrusività e con tempi sbagliati o vengono espulse
con una reazione rabbiosa, uguale a quella subita, facendo diventare
il bambino aggressivo, violento o addirittura delinquenziale, oppure
vengono accettate con una sottomissione che mortifica il figlio
facendolo diventare quiescente, collaborazionista o addirittura
masochista. Il figlio che reagisce a questa intrusività del
genitore sottoponen-dovisi, per una sorta di "sindrome di
Stoccolma", può arrivare a sentire come giuste le angherie che
subisce. Questi, per me, sono i casi più terribili perché i figli
adorano padri e madri che, invece, sarebbero da mandare
immediatamente davanti ai giudici. Quando sorge un conflitto tra i
bisogni dei genitori e quelli del figlio, questi genitori,
invariabilmente, risolvono il conflitto in modo tale che il genitore
vince e il figlio perde. Generalmente, questi genitori
razionalizzano il loro vincere in base a stereotipi come: "So
io cos'è meglio" oppure "E' per il bene del bambino"
o ancora "I figli hanno bisogno di un'autorità", oppure,
in termini più generici, "spetta ai genitori esercitare la
propria autorità per il bene dei figli, perché i genitori sanno
meglio di loro cos'è giusto e cos'è sbagliato". Il secondo
gruppo di genitori, numericamente più ristretto di quello dei
vincitori, concedono per lo più molta libertà ai figli. Evitano
deliberatamente di imporre limitazioni e affermano con orgoglio di
non accettare i metodi autoritari. Quando si verifica un conflitto
tra le esigenze del genitori e quelle del figlio, solitamente il
figlio vince e il genitore perde, poiché questi genitori ritengono
dannoso frustrare i bisogni del figlio. Probabilmente il gruppo più
numeroso è rappresentato dai genitori che ritengono impossibile
seguire coerentemente l'uno o l'altro dei due approcci. Di
conseguenza, cercando di pervenire a un giusto mezzo, oscillano tra
severità e indulgenza, fermezza e accondiscendenza, rigore e
permis-sivismo, vittoria e sconfitta. Il potere del linguaggio
dell'accettazione Quando una persona è capace di provare e di
comunicare a un'altra una sincera accettazione, essa può diventare
di grande aiuto. La sua accettazione dell'altro così com'è, è
determinante per costruire una relazione in cui l'altro possa
crescere, maturare, operare cambiamenti costruttivi, imparare a
risolvere problemi, tendere a un equilibrio psicologico, diventare
più produttivo e creativo, realizzare pienamente il proprio
potenziale. E' uno di quei paradossi semplici ma bellissimi della
vita: quando una persona sente di essere sinceramente accettata per
quella che è, si sente libera di prendere in considerazione un
possibile cambiamento, di pensare a una possibile crescita, a cosa
vorrebbe diventare, a come realizzare maggiormente il proprio
potenziale. L'accettazione è come il terreno fertile che permette a
un seme minuscolo di trasformarsi nel bel fiore che può diventare.
Sprigiona la sua capacità di crescere, ma tale capacità è
interamente in seno al seme. Anche un figlio, come un seme, ha
dentro di sè la capacità di crescere. L'accettazione è il terreno
fertile, che semplicemente permette al figlio di realizzare il
proprio potenziale. perché l'accettazione genitoriale esercita
tanta benefica influenza sui figli? E' un punto che in genere non
viene compreso. La maggior parte delle persone è stata indotta a
credere che se si accetta un figlio così com'è, questi non cambierà
mai; che il modo più valido per aiutarlo a migliorarsi è quello di
dirgli quali aspetti di lui non sono accettabili. L'accettazione va
dimostrata chiaramente Non basta provare accettazione per un figlio,
occorre anche che il figlio si senta accettato. Se l'accettazione
del genitore non è percepita dal figlio, è facile che non abbia
alcun effetto su di lui. Il genitore deve imparare a manifestare la
propria accettazione in modo che il figlio la percepisca. La parola
può guarire e indurre un cambiamento costruttivo. Ma dev'essere il
giusto tipo di parola. La stessa cosa vale per i genitori. Il modo
di rivolgersi ai figli determina l'efficacia o la distruttività del
genitore. Il genitore efficace, come il consulente efficace, deve
imparare a comunicare la propria accettazione e a sviluppare le
stesse capacità comunicative del professionista. Come comunicare
accettazione in modo non-verbale Possiamo comunicare sia con il
linguaggio parlato (ciò che diciamo) sia con il linguaggio del
corpo, quello che gli scienziati sociali definiscono linguaggio non
verbale (ciò che non diciamo). I messaggi non verbali vengono
comunicati attraverso la gestualità, la postura, le espressioni del
volto o altri comportamenti. Il "non-intervenire" come
messaggio di accettazione I genitori possono esprimere accettazione
al figlio semplicemente non intervenendo nelle sue attività. Non
intervenire mentre il figlio è impegnato in qualche attività è un
modo efficace per comunicare accettazione a livello non verbale.
Molti genitori non si rendono conto della frequenza con cui
comunicano non accettazione ai figli semplicemente interferendo,
intromettendosi, controllando, partecipando alle sue attività.
Esprimere
accettazione con l'ascolto passivo
Anche
il non dire può comunicare con chiarezza l'accettazione. Il
silenzio - l'ascolto passivo - è un messaggio non verbale molto
potente e può essere molto efficace per far sentire l'altro
veramente accettato. Comunicare accettazione verbalmente E' facile
capire che non si può restare a lungo in silenzio nel corso di
un'interazione. C'è bisogno di una qualche forma di scambio
verbale. Ovviamente i genitori devono parlare con i figli, e i figli
hanno bisogno che gli si parli perché nasca un rapporto intimo e
vitale. Parlare è essenziale, ma il punto cruciale è come parlare.
Il tipo di comunicazione verbale fra un genitore e un figlio la dice
lunga sul loro rapporto, soprattutto il modo in cui il genitore
risponde alla comunicazione del figlio. E' importante che i genitori
esaminino il proprio modo di rispondere verbalmente ai figli perché
la loro efficacia di educatori dipende in larga misura dal
comportamento verbale.
Le
barriere di comunicazione
1
Dare ordini, dirigire, comandare
Dire
al ragazzo di fare qualcosa, dargli un ordine o un comando: • Non
mi interessa quello che fanno gli altri genitori, va a pulire il
giardino! • Non parlare a tua madre in quel modo! • Torna subito
a giocare con Alessandra e Marta! • Smettila di lamentarti!
2
Mettere in guardia, ammonire, minacciare
Dire
al ragazzo quali saranno le conseguenze delle sue azioni: • Se fai
una cosa del genere, te ne pentirai! • Un'altra parola, e finisci
dritto in camera tua! • Se non vuoi che finisca male, è meglio
che la lasci perdere!
3
Esortare, moralizzare, far predica
Dire
al ragazzo che cosa dovrebbe fare o sarebbe bene che facesse: •
Non dovresti fare così. • Sarebbe opportuno che tu... • Devi
sempre rispettare chi è più vecchio di te.
4
Consigliare, offrire soluzioni o suggerimenti
Dire
al ragazzo come risolvere un problema, dargli consigli e
suggerimenti, fornirgli risposte e soluzioni: • perchéé non
chiedi ad Alessandra e Marta di scendere a giocare con te? •
Aspetta ancora un paio di anni, prima di decidere se fare o meno
l'università. • Prova a parlarne con l'insegnante. • Cercati
altre amiche.
5
Insegnare, argomentare, persuadere
Cercare
di influenzare il figlio con fatti, argomentazioni, ragionamenti,
informazioni o con le proprie opinioni: • Andare all'università
potrebbe essere l'esperienza più bella della tua vita. • I
bambini devono imparare ad andare d'accordo tra loro. • Guardiamo
cosa dicono le statistiche sui giovani laureati. • Se i ragazzi
imparano ad assumersi le proprie responsabilità, sapranno farlo
anche da grandi. • Considera la cosa da questo punto di vista: tua
madre ha bisogno di aiuto in casa. • Quando avevo la tua età,
dovevo fare il doppio di quello che fai tu.
6
Giudicare, criticare, opporsi, biasimare
Dare
un giudizio o una valutazione negativa del ragazzo: • Parli senza
riflettere. • E' un punto di vista immaturo. • Qui ti sbagli di
grosso.
7
Elogiare, assecondare
Dare
un giudizio o una valutazione positiva, oppure essere d'accordo: •
Secondo me sei una ragazza carina. • Sei perfettamente in grado di
riuscirci. • Credo che tu abbia ragione. • Sono d'accordo con
te.
8
Etichettare, ridicolizzare, umiliare
Indurre
il figlio a sentirsi stupido, affibbiargli un etichetta, umiliarlo:
• Sei un ragazzino viziato. • Eccolo, il sapientone. • Ti stai
comportando da selvaggio. • Va bene, piccolino.
9
Interpretare, analizzare, diagnosticare
Dire
al ragazzo quali sono i motivi del suo comportamento o analizzare
perchéé sta facendo o dicendo qualcosa, comunicargli la vostra
diagnosi o l'idea che vi siete fatta di lui: • La verità è che
sei gelosa di Marta. • Lo stai dicendo per infastidirmi. • Non
ci credi veramente. • Ti senti così perché non vai bene a
scuola.
10
Rassicurare, simpatizzare, consolare, sostenere
Cercare
di farlo sentire meglio, di distrarlo da suo stato d'animo, di
dissipare le sue emozioni, di negare la pesantezza dei suoi
sentimenti: • Domani ti sentirai diversamente. • A tutti i
ragazzi capitano queste cose. • Non preoccuparti, le cose si
aggiusteranno. • Potresti essere un ottimo studente, con le tue
capacità. • Anch'io la pensavo così. • E già! A volte la
scuola può essere proprio noiosa. • Di solito, vai abbastanza
d'accordo con gli altri ragazzi.
11
Inquisire, fare domande, indagare
Cercare
ragioni, motivi, cause; richiedere altre informazioni che possano
aiutarvi a risolvere il problema: • Quando hai incominciato a
sentirti così? • perché ti sembra di odiare la scuola? • Ma le
tue amiche ti dicono perché non vogliono giocare con te? • Con
quanti altri ragazzi hai parlato del lavoro che devono fare? • Chi
ti ha messo in testa queste idee? • Che cosa farai se non andrai
all'università?
12
Minimizzare, cambiare argomento, scherzare, distrarre
Distogliere
l'attenzione del figlio dal problema, tirarvi indietro, distrarre il
ragazzo, fare dello spirito o eludere il problema: • Non pensarci.
• Non parliamone a tavola. • Ma dai! parliamo di argomenti più
piacevoli. • Come va con la palla-canestro? • Già che ci sei,
perché non dai fuoco alla scuola? • E' una storia vecchia.
Quando
i genitori dicono qualcosa a un figlio, spesso dicono qualcosa su di
lui. Questo è il motivo per cui qualsiasi comunicazione con un
figlio ha un impatto tanto grande su di lui e sulla sua relazione
con voi. Ogni volta che parlate con vostro figlio, aggiungete un
altro mattone alla relazione che state costruendo insieme. E ogni
messaggio gli comunica cosa pensate di lui. Gradualmente il figlio
costruisce un'immagine di come lo percepite in quanto persona. La
parola può essere cos-truttiva per il figlio e per la relazione, ma
può anche essere distruttiva.
Semplici
frasi-invito
Uno
dei modi più efficaci e costruttivi per rispondere ai messaggi dei
figli che esprimono sentimenti e problemi sono le frasi-invito o
"inviti a dire di più". Si tratta di risposte che non
veicolano le idee, i giudizi o i sentimenti dell'ascoltatore, ma che
invitano il figlio a esprimere le proprie idee, giudizi o
sentimenti. Sono segnali di "via libera" che lo
incoraggiano a parlare. Le più semplici tra questo tipo di risposte
sono: - Capisco. - Davvero. - Ah! - Non mi dire. - Mmm. -
Incredibile. - Ma guarda un po'. - Ah sì, eh? - Interessante. - Ma
veramente! Altre espressioni sono più esplicite nel comunicare
l'invito a dire di più o a continuare a parlare: - Raccontami. - Di
che si tratta? - Spiegati meglio. - Vorrei sapere cosa ne pensi. -
Ti va di parlarne? - Parliamone. - Cosa vuoi dire. - Dimmi tutto. -
Parla, ti ascolto. - Mi pare che tu voglia dire qualcosa. - Mi
sembra che sia molto importante per te. Queste frasi-invito possono
facilitare molto la comunicazione, incoraggiano a iniziare o a
continuare un discorso. Inoltre lasciano l'iniziativa all'altro e
non gliela sottraggono come fanno invece le domande, i consigli, le
istruzioni, le prediche e via dicendo. Queste frasi-invito
impediscono ai vostri sentimenti e ai vostri pensieri di interferire
nel processo di comunicazione. Le reazioni dei bambini e degli
adolescenti a queste semplici frasi-invito vi sorprenderanno. I
giovani saranno incoraggiati ad avvicinarsi di più, ad aprirsi e a
far letteralmente sgorgare liberamente i propri sentimenti e le
proprie idee. I giovani, come gli adulti, amano parlare, e se
qualcuno gliene dà l'occasione, lo fanno volentieri.
Queste
frasi-invito comunicano anche accettazione e rispetto per il figlio
in quanto persona; in effetti è come se gli dicessero: - Hai il
diritto di esprimere i tuoi stati d'animo. - Ti rispetto in quanto
persona dotata di idee e sentimenti. - Potrei imparare qualcosa da
te. - Voglio veramente ascoltare il tuo punto di vista. - Ritengo
che le tue idee meritino di essere ascoltate. - Sono interessato a
te. - Voglio entrare in rapporto con te, conoscerti meglio. Chi non
reagirebbe favorevolmente a questi atteggiamenti? Quale adulto non
sarebbe lieto di sentirsi valorizzato, rispettato, importante,
accettato, interessante? I figli non sono diversi. Invitateli a
parlare e preparatevi a un'esplosione di espressività e di
espansività. Potreste inoltre apprendere qualcosa su loro e su voi
stessi.
L'ascolto
attivo
C'è
un altro modo di rispondere ai messaggi dei giovani, infinitamente
più efficace delle frasi-invito che sono semplici stimoli a parlare
e che si limitano ad aprire la porta alla loro comunicazione. Ma i
genitori devono anche imparare a tenere aperta quella porta. Di gran
lunga più efficace dell'ascolto passivo (il silenzio), l'ascolto
attivo è un modo splendido per collegare "mittente" e
"ricevente". Il ricevente diviene attivo quanto il
mittente. Ma prima di imparare come ascoltare attivamente, è
necessario che i genitori comprendano meglio cosa succede durante il
processo di comunicazione fra due persone. Alcuni semplici schemi ci
saranno d'aiuto. Ogni volta che un figlio decide di comunicare con
il proprio genitore, lo fa perché ha un bisogno, perché c'è in
lui una tensione, vuole qualcosa, si sente a disagio, prova un
particolare sentimento riguardo a qualcosa, oppure è turbato da
qualcosa; in questi casi diciamo che il suo organismo è in uno
stato di squilibrio, e per riequilibrarlo il figlio decide di
parlare. L'ascolto attivo favorisce questa catarsi. Aiuta i figli a
prendere coscienza dei propri sentimenti. Dopo averli espressi,
spesso si dissolvono come per incanto. L'ascolto attivo aiuta i
figli ad avere meno paura delle emozioni negative. "Le emozioni
sono amiche": è un'espressione che utilizziamo spesso nei
nostri corsi per aiutare i genitori a capire che le emozioni non
sono cattive. Quando un genitore dimostra, con l'ascolto attivo, di
accettare i sentimenti del figlio, questi si sente incoraggiato ad
accettarli anche lui. Dalle reazioni del genitore, il figlio
comprende che le emozioni sono davvero amiche. L'ascolto attivo
promuove l'intimità tra genitori e figli. L'esperienza di sentirsi
ascoltati e compresi da un altro è così soddisfacente, che
inevitabilmente genera nel mittente sentimenti positivi nei
confronti di chi ascolta. I figli, in modo particolare, reagiscono
con sentimenti e pensieri pieni d'amore. L'ascolto attivo facilita
nel figlio il processo autonomo di soluzione dei problemi. Sappiamo
che è più facile elaborare un problema quando se ne può parlare
con qualcuno, piuttosto che limitarsi a rifletterci su.
Gli
atteggiamenti richiesti dall'ascolto attivo
L'ascolto
attivo non è una semplice tecnica da tirar fuori dalla cassetta
degli attrezzi in caso di necessità. E' un metodo per mettere in
pratica una serie di atteggiamenti fondamentali, senza i quali il
metodo risulterà per lo più inefficace e avrà un sapore falso,
vuoto, meccanico, insincero. Ecco alcuni atteggiamenti fondamentali
che sono indispensabili quando si impiega l'ascolto attivo. Nel caso
in cui siano assenti, il genitore non riuscirà ad essere un
efficace ascoltatore.
1
Deve esserci la volontà di ascoltare quello che il figlio ha da
dire. Il che significa essere disposti a concedersi il tempo per
farlo. Se non avete tempo, basta dirlo.
2
Deve esserci la sincera volontà di aiutarlo con quel determinato
problema e in quel determinato momento. Se non ve la sentite,
aspettate il momento opportuno.
3
Dovete sentirvi genuinamente in grado di accettare il suo stato
d'animo, qualunque esso sia e per quanto diverso dal vostro o da
quello che secondo voi dovrebbe avere vostro figlio. Ci vuole tempo
per sviluppare questo atteggiamento.
4
Dovete avere una profonda fiducia nella sua capacità di gestire i
propri sentimenti, elaborarli e trovare soluzioni ai propri
problemi. La fiducia verrà osservando come vostro figlio risolve i
propri problemi.
5
Dovete aver chiaro che gli stati d'animo sono transitori, non
permanenti. I sentimenti cambiano: l'odio si può trasformare in
amore, lo scoraggiamento può cedere rapidamente il posto alla
speranza. Di conseguenza, non abbiate paura dei suoi sentimenti;
essi non lasceranno un'impronta indelebile sull'animo del figlio.
L'ascolto attivo ve lo dimostrerà.
6
Dovete essere in grado di considerare vostro figlio una persona
distinta da voi, un individuo con una propria vita e una propria
identità, ormai indipendente e separato da voi. Questa separazione
vi permetterà di concedergli i suoi stati d'animo, e il suo modo di
vedere le cose. Solo sentendovi separati da lui sarete in grado di
aiutarlo. Dovete accompagnarlo mentre vive il suo problema, senza
identificarvi con lui.
Errori
ricorrenti nell'utilizzo dell'ascolto attivo
1
Manipolare i figli attraverso "la guida" Alcuni genitori
fanno fiasco quando utilizzano per la prima volta l'ascolto attivo
solo perché le loro intenzioni sono sbagliate. Essi vogliono
utilizzarlo per manipolare i figli e indurli a comportarsi o a
pensare come i genitori credono sia opportuno.
2 Il
genitore "pappagallo" Questi genitori dovrebbero ricordare
che le parole utilizzate dai figli (il loro particolare codice) sono
solo strumenti per comunicare sentimenti. Il codice in sè non è il
messaggio; esso deve essere decifrato dal genitore.
3
L'ascolto senza empatia Un pericolo reale per i genitori che
applicano meccanicamente l'ascolto attivo è non accorgersi che i
loro sforzi devono essere accompagnati da calore e empatia.
Modi
efficaci di confrontarsi con i figli
Anche
il modo di parlare dei genitori può essere migliorato. Quando
prendono coscienza del potere distruttivo dei messaggi di
disapprovazione i genitori cominciano anche a fremere del desiderio
di apprendere modi più efficaci per confrontarsi con i figli. Non
abbiamo mai incontrato un genitore che volesse coscientemente
distruggere l'autostima del proprio figlio.
"Messaggi
in prima persona" e "Messaggi in seconda persona"
Un
modo semplice per spiegare la differenza tra confronto efficace e
inefficace è quello di imparare innanzitutto a distinguere i
messaggi in prima persona dai messaggi in seconda persona. Quando
chiediamo ai genitori di esaminare i messaggi che in precedenza
avevamo catalogato come inefficaci, essi si sorprendono nel
constatare che sono quasi tutti rivolti in seconda persona, cioé
all'interlocutore: • Smettila. • Non dovresti comportarti così.
• Non ti permettere mai più di ... • Se non la smetti ... •
perché non fai così? • Sei un cattivone. • Ti stai comportando
come un bambino. • Vuoi attirare l'attenzione. • perché non ti
comporti bene? • Dovresti avere più buon senso.
Perché
i "messaggi in prima persona" sono più efficaci
I
messaggi in prima persona oltre a essere più efficaci per
influenzare un figlio a modificare un comportamento inaccettabile
per il genitore, sono anche più salutari per il figlio e per la
relazione genitore-figlio. Chi invia un sincero messaggio in prima
persona rischia di farsi conoscere dall'altro per quello che
veramente è; si apre diventando genuinamente trasparente e rivela
la propria umanità; mostra all'altro che può sentirsi ferito,
imbarazzato, spaventato, deluso, arrabbiato o scoraggiato e così
via. Rivelare ciò che si prova significa aprirsi per farsi vedere
dall'altro. Cosa penserà di me? Sarò rifiutato? Diminuirà la sua
stima nei miei confronti? I genitori, in modo particolare, trovano
molto difficile essere genuinamente trasparenti con i figli perché
vogliono apparire infallibili, senza debolezze, vulnerabilità,
inadeguatezza. Per molti genitori è molto più facile nascondere i
propri sentimenti dietro messaggi in seconda persona, che
attribuiscono la colpa al figlio, piuttosto che smascherare la
propria umanità. Modificare un comportamento inaccettabile
modificando l'ambiente circostante Non sono molti i genitori che
provano a modificare il comportamento dei figli modificando
l'ambiente circostante. I genitori tendono a modificare l'ambiente
circostante dei neonati o dei bambini molto piccoli, ma non quello
dei figli più grandi in parte perché con questi ultimi possono
affidarsi in misura sempre maggiore a metodi verbali come il
rimprovero e la minaccia. Essi trascurano, quindi, di modificare
l'ambiente e cercano di dissuadere con le parole il figlio dal
mantenere un comportamento inaccettabile. Questa scelta è alquanto
inopportuna poiché modificare l'ambiente circostante, oltre ad
essere un'operazione semplice, è anche estremamente efficace con
figli di tutte le età.
I
genitori cominciano a utilizzare questo metodo in modo più
esauriente quando ne comprendono le molteplici possibilità di
applicazione. Seguendo questo criterio si può: 1 Arricchire
l'ambiente circostante. 2 Impoverirlo. 3 Semplificarlo. 4 Limitarlo.
5 Renderlo sicuro. 6 Sostituire una attività con un'altra. 7
Preparare il figlio a possibili modifiche dell'ambiente. 8
Pianificare le modifiche con i figli più grandi.
Si
possono evitare numerosi conflitti organizzando opportunamente anche
l'ambiente degli adolescenti. Anche loro hanno bisogno di uno spazio
adeguato per sistemare i loro oggetti personali, per mantenere la
propria privacy, per coltivare attività autonome.
Ecco
alcuni suggerimenti per ampliare la vostra area di accettazione nei
confronti dei figli più grandi: • Procurate loro una sveglia. •
Liberate uno spazio adeguato nello stanzino e ponetevi numerosi
ganci. • Predisponete in casa un angolo dove lasciarsi
reciprocamente le ambasciate. • Procurate loro un calendario
personale dove possano annotare i propri impegni. • Studiate
insieme le istruzioni d'uso di apparecchiature o elettrodomestici
appena acquistati. • Informateli con anticipo delle visite di
ospiti per dar loro il tempo di riordinarsi le stanze. •
Assicurate la chiave di casa a un laccio che potrà essere cucito
all'interno della borsetta di vostra figlia o indossato intorno al
collo da vostro figlio. • Date la paga mensilmente, invece che
settimanalmente, e accordatevi in anticipo su ciò che i figli sono
tenuti a comprarsi con la paga che destinate loro. • Spiegate qual
è il criterio di addebito degli scatti della società dei telefoni.
• Spiegate tempestivamente complesse questioni legali come
l'assicurazione dell'auto, il coprifuoco, la responsabilità in caso
di incidenti automobilistici, l'uso di alcool o di droghe e così
via. • Quando un adolescente lava il proprio bucato
semplificategli il compito predisponendo che abbia a portata di mano
quanto gli occorre. • Suggerite di portare sempre con loro un
gettone nel caso debbano fare una telefonata di emergenza. •
Avvisateli sempre se avete riposto nel frigorifero cibi riservati
gli ospiti. • Abituateli a fare un elenco dei loro amici e
relativi numeri telefonici nel caso abbiate improvvisamente bisogno
di rintracciarli. • Avvertiteli per tempo se prevedete di aver
bisogno del loro aiuto per accogliere ospiti. • Incoraggiateli a
preparare un elenco di oggetti personali o di cose da fare prima di
partire per un viaggio. • Invogliateli a leggere le previsioni del
tempo sul giornale (o ad ascoltare alla televisione o alla radio)
per decidere cosa indossare per andare scuola. • Informateli in
anticipo dei nomi dei vostri ospiti onde evitare situazioni
imbarazzanti al loro arrivo. • Avvertiteli con molto anticipo di
quanto sarete fuori città in modo che possano organizzare le loro
attività durante la vostra assenza. • Insegnate loro come
annotare i messaggi telefonici. • Bussate sempre prima di entrare
nelle stanze dei vostri figli. • Fateli partecipare ai discorsi
sui progetti familiari che li coinvolgono. • Definite insieme,
prima dell'arrivo dei loro ospiti, le regole della casa riguardo
alle feste che essi organizzano.
Conflitti
inevitabili tra genitori e figli: chi dovrebbe vincere?
Tutti
i genitori incontrano situazioni in cui né il confronto né le
modifiche ambientali riescono a far cambiare il comportamento del
figlio; il figlio, cioé, seguita a comportarsi in un modo che
interferisce con i bisogni del genitore. Queste situazioni sono
inevitabili nella relazione genitore-figlio quando il figlio
"ha bisogno" di comportarsi in un dato modo pur essendo
cosciente che il proprio comportamento è in contrasto con i bisogni
del genitore. Questi conflitti tra bisogni del genitore e bisogni
del figlio non solo sono inevitabili in tutte le famiglie, ma anche
destinati a verificarsi frequentemente. La loro natura può essere
poco rilevante ma anche estremamente critica. Si tratta di problemi
del rapporto non attribuibili esclusivamente al figlio né al solo
genitore, ma sia al primo che al secondo perché sono in gioco i
bisogni di ambedue. Come risolvere i conflitti è probabilmente
l'aspetto più critico del rapporto tra genitori e figli.
Sfortunatamente, la maggior parte dei genitori cerca di risolverli
utilizzando solo due approcci, ambedue inefficaci e dannosi per il
figlio e per il rapporto. Pochi genitori accettano il fatto che i
conflitti fanno parte della vita e che non sono necessariamente di
natura dannosa. Molti di loro, invece, ritengono che il conflitto
sia qualcosa da evitare a tutti i costi, sia se insorge tra loro e i
figli che tra i figli stessi. Molti mariti e mogli si vantano di non
avere mai avuto seri contrasti, come se ciò bastasse a convalidare
la bontà del loro rapporto. Il conflitto, dunque, non è
necessariamente un male; va, invece, considerato come realtà di
qualsiasi rapporto. La lotta per il potere tra genitori e figli
Molti genitori riducono il complesso problema della disciplina
nell'educazione dei figli ad una questione di severità o
indulgenza, durezza o tenerezza, autorità o permissivismo. Essendo
bloccati in questo approccio dualistico all'educazione, assimilano
il loro rapporto con i figli a una lotta di potere, a uno scontro di
volontà, a una sfida per vedere chi vince, insomma a una guerra. I
genitori di oggi e i loro figli sono letteralmente in guerra;
ambedue le parti in conflitto ragionano in termini di vincita e
perdita e parlano addirittura dei loro scontri in modo molto simile
a due nazioni in guerra. Quando insorge un conflitto tra genitori e
figli, la maggior parte dei genitori cerca di risolverlo a proprio
favore in modo che il genitore vinca e il figlio perda. Un numero più
esiguo di genitori, se paragonato al numero di genitori vincenti,
cede continuamente alle richieste dei figli per timore di affrontare
il conflitto o di frustrare i loro bisogni. In queste famiglie il
figlio vince e il genitore perde. Il grande dilemma dei genitori
odierni è che vedono solamente l'approccio vinci-perdi, che ora
chiamiamo Metodo I e Metodo II.
Perché
il Metodo I è inefficace
I
genitori che fanno assegnamento sul Metodo I per risolvere i
conflitti pagano un prezzo molto alto per la propria vincita. Le
conseguenze del Metodo I sono abbastanza prevedibili: scarsa
motivazione del figlio a eseguire quanto proposto nella soluzione,
risentimento verso i genitori, difficoltà ad imporsi da parte del
genitore, nessuna opportunità per il figlio di sviluppare la
capacità di autodisciplinarsi. Quando un genitore impone la propria
soluzione di un conflitto, il figlio avrà ben poco motivo o
desiderio di aderire a quella decisione non avendo alcun vantaggio a
farlo; non gli è stata offerta alcuna opportunità di pronunciarsi
per esprimere il proprio parere. Qualunque motivazione del figlio è
estrinseca, esterna alla sua persona. Può darsi che egli finisca
con l'assecondare il genitore, ma solo perché teme la sua punizione
o disapprovazione. Il figlio non vuole eseguire quanto deciso, si
sente costretto a farlo. E' per questo che i figli cercano tanto
spesso di escogitare il modo di sottrarsi al compito di eseguire ciò
che devono svolgendo comunque il lavoro con sforzo minimo o facendo
a mala pena lo stretto indispensabile. In genere i figli provano
risentimento nei confronti dei genitori quando vengono costretti con
il Metodo I a fare qualcosa controvoglia. Si sentono vittime di
un'ingiustizia e, attribuendone ai genitori la responsabilità, si
rivoltano contro di essi con rancore e risentimento. I genitori che
usano il Metodo I qualche volta ottengono arrendevolezza e
ubbidienza pagando però l'amaro prezzo dell'ostilità dei figli. Se
si osservano i figli di genitori che hanno appena risolto un
conflitto con il Metodo I si constaterà quasi invariabilmente che
le espressioni del loro volto denunciano rancore e risentimento, che
rispondono con ostilità o che arrivano persino ad aggredire
fisicamente i genitori. Il Metodo I crea le premesse di una
relazione destinata a deteriorarsi inesorabilmente. Il risentimento
e l'odio subentrano all'amore e all'affetto. I genitori pagano un
altro grave scotto per aver usato il Metodo I: solitamente devono
spendere una gran quantità di tempo per far rispettare la decisione
presa, per controllare che il figlio adempia il proprio compito
assillandolo, rammentadogli cosa deve fare e sollecitandolo. I
genitori che partecipano ai corsi spesso difendono l'uso del Metodo
I adducendo la giustificazione che dopotutto è un metodo rapido per
risolvere i conflitti. Questo vantaggio è spesso più apparente che
reale perché in seguito sottrae moltissimo tempo al genitore che
deve assicurarsi che la propria decisione sia effettivamente
rispettata. I genitori che dicono di dover costantemente assillare i
figli sono immancabilmente gli stessi che adoperano il Metodo I. Mi
è impossibile ricordare l'enorme numero di conversazioni, avute con
genitori, simili alla seguente, avvenuta nel mio ufficio. Pochi
genitori vedono la connessione tra la mancanza di motivazione dei
figli ad aiutarli in casa e il fatto che le decisioni relative sono
di solito prese con il Metodo I. Un ragazzo "che non
collabora" è semplicemente un ragazzo i cui genitori,
prendendo decisioni con Metodo I, gli hanno negato la possibilità
di cooperare. Non è possibile ottenere la cooperazione di un figlio
costringendolo a comportarsi nel modo desiderato. perché il Metodo
II è inefficace Cosa accade ai figli che crescono abituandosi a
vincere mentre i genitori perdono? Quale effetto ha sui figli il
loro averla quasi sempre vinta? Ovviamente questi figli saranno
diversi da quelli cresciuti in case dove si usa principalmente il
Metodo I per risolvere i conflitti. I figli a cui è consentito di
avere la meglio non saranno altrettanto ribelli, ostili, dipendenti,
aggressivi sottomessi obbedienti, servili remissivi e così via. Non
hanno dovuto sviluppare la capacità di far fronte al potere
genitoriale. Il Metodo II incoraggia il figlio a utilizzare il
proprio potere sui genitori per vincere a loro spese. Questi figli
imparano a controllare il genitore rivoltandosi con stizzosa
collera; imparano a farlo sentire in colpa, a rivolgersi a lui in
modo villano e sprezzante. Sono spesso turbolenti, intrattabili
incontrollati, impulsivi. Hanno imparato che i loro bisogni sono più
importanti di quelli di chiunque altro: Anch'essi sono spesso privi
della capacità di controllare autonomamente il proprio
comportamento e diventano molto egocentrici, egoisti e esigenti.
Questi figli spesso non rispettano la proprietà e i sentimenti
altrui. La vita per loro è un continuo prendere e afferrare
avidamente. Il loro Io ha la precedenza su tutti. Raramente sono
servizievoli o disposti a collaborare in casa. Essi hanno spesso
serie difficoltà nei rapporti con i loro coetanei che non amano la
compagnia di questi figli Çviziati' trovandone sgradevole la
vicinanza. Difatti, i figli cresciuti in famiglie in cui predomina
il Metodo II sono talmente abituati ad averla vinta con i propri
genitori che vogliono tener testa anche ai propri coetanei. Questi
figli hanno anche difficoltà di adattamento a scuola, istituzione
la cui filosofia si fonda in modo predominante sul Metodo I. I figli
abituati al Metodo II rischiano di vivere esperienze drammatiche
quando entrano nel mondo della scuola e scoprono che la maggior
parte degli insegnanti e dei presidi è allenata a utilizzare il
Metodo I per risolvere i conflitti e sostenuta dalla propria autorità
e potere. Probabilmente l'effetto più grave del Metodo II è che i
figli maturano profondi sentimenti di insicurezza riguardo all'amore
dei propri genitori. è facile comprendere questa reazione se si
considera quanto sia difficile per i genitori provare amore e
accettazione nei confronti di un figlio che normalmente vince a loro
spese. Nelle famiglie dove viene applicato il Metodo I, il
risentimento si irradia dal figlio al genitore; dove invece viene
applicato il Metodo II il risentimento parte dal genitore. Un figlio
cresciuto con il Metodo II sente che i suoi genitori sono spesso
risentiti, irritati e inquietati con lui. Quando più tardi
percepisce messaggi simili dai propri coetanei e probabilmente da
altri adulti, non c'è da meravigliarsi se comincia a sentirsi non
amato perché, ovviamente, spesso non è amato dagli altri. Sebbene
alcuni studi abbiano dimostrato che i figli cresciuti con il Metodo
II tendono a essere più creativi dei figli cresciuti con il Metodo
I, i genitori pagano un caro prezzo per aver allevato figli creativi
perché sovente non riescono a sopportarli. Ulteriori problemi
Alcuni genitori cominciano utilizzando il Metodo II, ma appena il
figlio cresce e diventa più indipendente e autonomo gradualmente
passano al Metodo I. Ovviamente, può essere dannoso per il figlio
abituarsi ad averla quasi sempre vinta e poi cominciare a subire
sconfitte. Altri genitori cominciano con il Metodo I e poi
gradualmente si convertono al Metodo II. Questo accade spesso quando
i genitori hanno un bambino che inizia presto a opporsi all'autorità
genitoriale; gradualmente questi genitori si rassegnano e cominciano
a comportarsi con i figli in modo arrendevole. Ci sono anche
genitori che utilizzano il Metodo I con il primo figlio e passano al
Metodo II con il secondo sperando di avere risultati migliori. In
queste famiglie si sente spesso il primo figlio esprimere
risentimento nei confronti del secondo, al quale si consente di
farla franca con comportamenti a lui mai concessi. A volte il primo
figlio pensa che ciò sia la prova che i genitori prediligono
fortemente il secondo figlio. Uno dei modelli comportamentali più
comuni, particolarmente tra i genitori fortemente influenzati dai
sostenitori del permissivismo e dagli oppositori delle punizioni,
consiste nel permettere al figlio di vincere per lunghi periodi di
tempo fino a quando il suo comportamento diventa talmente odioso che
i genitori ricorrono improvvisamente al Metodo I per sentirsi poco
dopo in colpa fino a tornare gradualmente a impiegare il Metodo II
riavviando così lo stesso ciclo. Un genitore espresse questa
situazione in modo molto chiaro: "Sono permissivo con i miei
figli fino a quando non riesco più a sopportarli. Dopo di che
divento molto autoritario fino a quando non riesco più a sopportare
me stesso". Molti genitori, tuttavia, sono bloccati sull'uso
esclusivo di uno dei due metodi. Può accadere che un genitore sia,
per convinzione o per tradizione, un forte sostenitore del Metodo 1.
Poi scopre con la propria esperienza che questo metodo non funziona
molto bene e potrebbe persino finire col sentirsi colpevole di
usarlo; non gli piace sentirsi severo, autoritario e punitivo.
Tuttavia la sola alternativa che conosce è il Metodo II: consentire
al figlio di vincere. Intuitivamente questo genitore sa che il
Metodo II non migliorerebbe la situazione, ma potrebbe perfino
peggiorarla. Così egli aderisce ostinatamente al Metodo I anche di
fronte all'evidenza del fatto che i suoi figli stanno soffrendo a
causa di questo approccio o che la relazione si sta deteriorando. La
maggior parte dei genitori che usano il Metodo II sono contrari a
utilizzare un approccio autoritario perché per principio si
oppongono all'uso dell'autorità con i figli o perché la loro
personalità non consente loro di impiegare la forza necessaria o di
fare l'esperienza di un conflitto. Ho conosciuto molte madri, e
persino alcuni padri, che considerano più adeguato il Metodo II
perché temono di entrare in conflitto con i figli (e di solito con
qualsiasi altra persona). Piuttosto che correre il rischio di
imporre la propria volontà ai loro figli, questi genitori
affrontano i problemi col criterio della "pace a ogni
costo" comportandosi in modo rinunciatario, facendo eccessive
concessioni e arrendendosi. Il dilemma di quasi tutti i genitori che
si presentano ai corsi sembra essere quello di sentirsi bloccati su
uno dei due metodi o di oscillare tra i due, perché non conoscono
altre alternative a questi due metodi inefficaci vinci-perdi.
Abbiamo scoperto che i genitori non solo riconoscono quale metodo
utilizzano più frequentemente, ma anche che ambedue i metodi sono
inefficaci. E' come se si rendessero conto di essere in difficoltà,
qualunque metodo usino, ma non sapessero a quale altro metodo
ricorrere. La maggior parte di loro esprime gratitudine per essere
stata aiutata a uscire dal vicolo cieco in cui si era cacciata da
sola. Il potere genitoriale è necessario e giustificato? Una delle
convinzioni più radicate è quella di ritenere necessario e
opportuno che i genitori ricorrano alla propria autorità per
controllare, guidare ed educare i figli. Stando alle migliaia di
genitori che hanno frequentato i nostri corsi è possibile affermare
che pochi di essi mettono in dubbio la validità di questa
convinzione. Molti genitori adducono con disinvoltura le ragioni del
loro ricorso all'autorità sostenendo che i figli ne hanno bisogno e
la desiderano o che i genitori sono comunque più saggi. Frasi come
"Papà sa bene cosa sia meglio per te!" rispecchiano una
tendenza molto diffusa. L'ostinazione a credere che sia necessario e
opportuno che i genitori utilizzino l'autorità con i figli ha,
secondo me, impedito per secoli qualsiasi cambiamento o
miglioramento significativo circa il modo in cui i figli vengono
educati e trattati dagli adulti. Ciò è in parte dovuto al fatto
che quasi tutti i genitori non comprendono cosa veramente sia
l'autorità e quale effetto abbia sui figli. Essi parlano
disinvoltamente di "autorità", ma pochi ne sanno dare una
definizione o almeno identificarne la provenienza.
Cos'è
l'autorità?
Una
delle caratteristiche fondamentali del rapporto genitore-figlio è
la seguente: i genitori hanno una statura psicologica più elevata
di quella del figlio. Nella prospettiva del figlio,
indipendentemente dalla sua età, il genitore non ha la sua stessa
statura. Non mi riferisco alla statura fisica (sebbene la dimensione
fisica sia un differenziale presente fino a quando i figli non
raggiungono l'adolescenza), ma piuttosto alla statura psicologica.
Il genitore ha quasi sempre, agli occhi del figlio, una statura
psicologica maggiore, il che spiega espressioni come "Il mio
grande papà", "Il capo", "Mio padre era una
figura imponente nella mia vita", "Era un grand'uomo per
me" o "Non mi lasciai sfuggire l'occasione per
ridimensionare le figure dei miei genitori". Tutti i bambini
vedono inizialmente i propri genitori come divinità. Questa
differenza di statura psicologica esiste non solo perché i figli
vedono i propri genitori più grandi e più forti, ma anche più
sapienti e competenti. Al bambino piccolo sembra che non vi sia
nulla che i genitori non conoscano o non sappiano fare. Egli è
stupito dalla vastità delle loro capacità di comprensione,
dall'accuratezza delle loro previsioni, dalla saggezza dei loro
giudizi. Sebbene alcune di queste percezioni siano talvolta
accurate, altre volte non lo sono. I figli attribuiscono ai genitori
molte fattezze, caratteristiche e capacità che in realtà sono
infondate. Pochi genitori hanno veramente una conoscenza
corrispondente a quella che viene loro attribuita dai figli.
L'esperienza non è sempre "il miglior maestro", come
d'altronde il figlio comprenderà una volta divenuto adolescente e
adulto e quindi in grado di giudicare i propri genitori grazie a
un'esperienza personale più vasta. E la saggezza non è sempre
proporzionalmente collegata all'età. Molti genitori trovano
difficile ammettere questa realtà. I più onesti con se stessi
riconoscono quanto esagerate siano le valutazioni dei figli su Mamma
e Papà. Sebbene esistano già molti elementi che favoriscono la
maggiore statura psicologica dei genitori, molte madri e padri la
enfatizzano nascondendo deliberatamente ai figli i propri limiti o
errori di giudizio e alimentando miti incrollabili attraverso frasi
quali: "Sappiamo noi cosa sia meglio per te" o
"Quando sarai più grande capirai che avevamo ragione". Mi
ha sempre incuriosito osservare che quando i genitori parlano
retrospettivamente dei propri genitori, ne individuano facilmente
gli errori e limiti. Tuttavia contesteranno l'idea che essi stessi
siano soggetti a commettere gli stessi errori di valutazione e di
mancanza di saggezza nei confronti dei propri figli. Sebbene
immeritatamente, essi hanno realmente una statura psicologica più
grande che si traduce in un'importante fonte di potere genitoriale
sui figli. Siccome il genitore è visto come "un'autorità",
i suoi tentativi di influenzare il figlio hanno un peso notevole. Si
potrebbe definire questo fenomeno come autorità conferita al
genitore. Che tale autorità sia meritata o meno è irrilevante.
Resta il fatto che è la statura psicologica a conferire al genitore
influenza e potere sul figlio. Esiste inoltre un'altra forma di
potere del genitore sul figlio dovuta al fatto che il primo possiede
ciò di cui il figlio necessita. Si tratta del potere che il
genitore ha di soddisfare i bisogni primari del figlio. I figli
arrivano al mondo quasi completamente dipendenti dagli altri per
quanto concerne il nutrimento e il conforto fisico. Non posseggono i
mezzi per soddisfare i propri bisogni, mezzi che sono invece
posseduti e controllati dai genitori. Man mano che il figlio cresce,
se gli viene consentito di rendersi più indipendente dai genitori,
il potere genitoriale naturalmente diminuisce. Tuttavia in tutte le
età precedenti quella in cui il figlio diventa un adulto
indipendente, in grado di soddisfare i propri bisogni primari quasi
interamente grazie ai propri sforzi, i genitori continuano ad avere
un certo grado di potere su di lui. Un ulteriore potere deriva dal
fatto che il genitore, potendo soddisfare i suoi bisogni primari, può
anche appagare il figlio. Gli psicologi utilizzano il termine
"ricompensa" per indicare qualsiasi mezzo posseduto dal
genitore (fonte di appagamento) che serva ad appagare i bisogni del
figlio. Se un bambino ha fame (ha bisogno di cibo) e il genitore gli
fornisce un biberon, diremo che il figlio è stato ricompensato (il
suo bisogno di cibo è stato soddisfatto). Il genitore possiede
anche i mezzi per provocare sofferenza o disagio al figlio sia
negandogli ciò di cui ha bisogno (non nutrendolo quando ha fame)
sia facendo qualcosa che gli causa dolore o disagio
(schiaffeggiandogli la mano quando la protende verso il biberon del
fratello). Gli psicologi usano il termine "punizione" come
contrario di "ricompensa". Qualsiasi genitore sa che può
controllare un figlio ricorrendo al proprio potere. Per mezzo di un
attento uso delle ricompense e delle punizioni, il genitore può
incoraggiare il bambino a comportarsi in un certo modo o dissuaderlo
dal comportarsi in un altro. Tutti sanno, per esperienza personale,
che gli esseri umani (e gli animali) tendono a ripetere
comportamenti che meritano ricompense (ossia che soddisfano un
bisogno) e a rifuggire o escludere comportamenti che non appagano o
che addirittura causano punizioni. Così un genitore può rinforzare
alcuni comportamenti del figlio ricompensandolo o frenare altri
comportamenti punendolo. Supponiamo che vogliate che vostro figlio
giochi con le sue costruzioni e non con i costosi posacenere di
cristallo poggiati sul tavolino da caffè. Per incoraggiarlo a
giocare con le costruzioni, potreste sedere insieme a lui mentre
gioca, sorridergli e essere gentile dicendogli: "Sei proprio un
bravo bambino". Per dissuaderlo dal giocare con il posacenere,
potreste schiaffeggiargli la mano, dargli uno sculaccione,
aggrottare la fronte, assumere un espressione sgradevole o dirgli:
"Sei cattivo". Il bambino imparerà rapidamente che
giocare con le costruzioni promuoverà un buon rapporto con il
potere del genitore, mentre giocare con il posacenere lo guasterà.
Ciò è quanto i genitori spesso fanno per modificare il
comportamento dei figli. Normalmente viene definito educazione del
figlio. In realtà il genitore usa il proprio potere per far sì che
il figlio faccia ciò che lui vuole o per impedire che il figlio
faccia ciò che lui non vuole. Lo stesso metodo viene utilizzato
dagli addestratori di cani per insegnare loro a obbedire e dai
domatori circensi per insegnare agli orsi a andare in bicicletta. Se
un addestratore vuole che un cane lo segua al passo, gli pone un
collare intorno al collo e comincia a camminare trattandolo col
guinzaglio. Poi gli ordina: "Al passo!" Se il cane non
resta vicino all'addestratore riceve uno strattone doloroso al collo
(punizione). Se il cane lo segue al passo, viene accarezzato
(ricompensa). In questo modo il cane impara presto a seguire il
padrone al passo su comando. Non c'è dubbio: il potere funziona. I
figli possono essere addestrati in questo modo a giocare con le
costruzioni piuttosto che con i costosi posacenere, i cani possono
essere addestrati a camminare al passo su comando e gli orsi ad
andare in bicicletta o persino su monopattini. Davvero sorprendente!
Quando i figli sono piccoli, dopo essere stati ricompensati o puniti
un numero sufficiente di volte, possono essere controllati
semplicemente promettendo loro una ricompensa se si comporteranno in
un certo modo o minacciando di punirli se si comporteranno in un
modo indesiderabile.
I
vantaggi potenziali di questo metodo sono evidenti: il genitore non
deve attendere che si verifichi il comportamento desiderato per
poterlo ricompensare (rinforzare) né aspettare quello indesiderato
per eventualmente punirlo (frenarlo). Infatti, dopo un certo periodo
di tempo, il genitore può influenzare il figlio dicendo
semplicemente: "Se ti comporti in un certo modo riceverai la
mia ricompensa, altrimenti riceverai una punizione". Gravi
limiti del potere genitoriale Se pensate che il potere genitoriale
di ricompensare o punire (o di promettere ricompense e minacciare
punizioni) possa essere un modo efficace per controllare i figli
avete torto e ragione allo stesso tempo: l'uso dell'autorità
genitoriale (potere) per quanto possa sembrare efficace in alcune
condizioni, è alquanto inefficace in altre. Più avanti esaminerò
alcuni degli effettivi rischi del potere genitoriale. Molti, se non
la maggior parte, di questi effetti collaterali sono assai
spiacevoli. Questo tipo di addestramento all'ubbidienza induce
spesso i figli a diventare sottomessi, timorosi e nervosi; spesso si
rivoltano contro i loro addestratori con ostilità e senso di
vendetta; sovente crollano psicologicamente o emotivamente mentre si
sforzano di apprendere comportamenti che sentono difficili o
sgradevoli. L'uso del potere può sortire molti effetti dannosi e
comportare numerosi rischi per l'addestratore di animali come per
l'educatore di figli.
Effetti
del potere genitoriale sul figlio
1
Resistenza, sfida, ribellione, sfiducia
2
Risentimento, rabbia, ostilità
3
Aggressione, ritorsione, vendetta
4
Mentire, nascondere i propri sentimenti
5
Accusare il prossimo, ingannare, spettegolare
6
Dominare, intimorire
7
Bisogno di vincere, paura di perdere
8
Cercare alleati contro i genitori
9
Sottomissione, obbedienza cieca
10
Servilismo
11
Adulazione
12
Introversione, sognare ad occhi aperti
perché
si persiste nell'uso del potere per educare i figli?
Questa
domanda, postami continuamente dai genitori partecipanti ai corsi,
mi ha incuriosito e lanciato una sfida. E' difficile comprendere
come si possa giustificare l'uso del potere nell'educazione dei
figli o in qualsiasi altra relazione umana, una volta che si è
riflettuto su di esso e sui suoi effetti. Lavorando con genitori, mi
sono ormai persuaso che tutti, eccetto un esiguo gruppo, detestano
usare il potere con i figli. Li fa sentire a disagio e genuinamente
in colpa. Spesso arrivano perfino a scusarsi con i figli dopo essere
ricorsi al potere. Oppure cercano di lenire il senso di colpa con le
solite razionalizzazioni: "Lo abbiamo fatto solo per il tuo
bene", "Un giorno ci ringrazierai', "Quando un giorno
avrai dei figli, capirai perché dobbiamo impedirti di fare certe
cose". Oltre ad avere sensi di colpa, molti genitori ammettono
che i loro metodi non sono comunque particolarmente efficaci,
specialmente i genitori di figli grandi abbastanza per cominciare a
ribellarsi, mentire, dileguarsi o resistere passivamente. Sono
giunto alla conclusione che i genitori hanno continuato a usare il
potere attraverso gli anni perché hanno avuto ben poca, se non
addirittura nessuna, opportunità nella propria vita di conoscere
persone che, per influenzare gli altri, usavano metodi non fondati
sul potere. La maggior parte delle persone, dall'infanzia in poi, è
stata controllato attraverso il potere esercitato da genitori,
docenti, presidi, allenatori, insegnanti di catechismo, zii, zie,
nonni, guide scout, rettori universitari, ufficiali militari e
capiufficio. I genitori, pertanto, persistono nell'uso del potere
per mancanza di esperienza e conoscenza di altri metodi di
risoluzione dei conflitti nelle relazioni umane.
|
Risolvere
i conflitti senza perdenti
Scoprire
di avere un'alternativa è per i genitori, bloccati dalla tradizione
sui due metodi Çvinci-perdi' fondati sull'uso del potere, una vera
e propria rivelazione! I genitori, quasi nella loro totalità,
provano sollievo nell'apprendere che esiste un terzo metodo che,
sebbene facile da capire, richiede comunque un'adeguata formazione,
un periodo di pratica e un opportuno allenamento dei genitori se si
desidera raggiungere un'effettiva competenza nel suo impiego.
L'alternativa consiste nel metodo Çsenza perdenti' di risoluzione
dei conflitti grazie al quale nessuno perde. Durante i corsi viene
semplicemente denominato ÇMetodo III'. Sebbene i genitori siano
notevolmente colpiti da questo metodo così innovativo per risolvere
i conflitti familiari essi lo riconoscono più facilmente quando
osservano quanto spesso venga utilizzato in contesti diversi.
Difatti le coppie vi ricorrono frequentemente per mitigare le loro
divergenze attraverso i compromessi. I soci in affari vi fanno
affidamento per raggiungere accordi che moderino i loro frequenti
conflitti. I sindacalisti e i dirigenti aziendali lo utilizzano per
negoziare contratti vincolanti per ambedue le parti in causa.
Innumerevoli contese legali sono risolte con accordi extragiudiziali
raggiunti con il Metodo III, cui si conformano ambedue i
contestatari. Il Metodo III è impiegato frequentemente per
risolvere conflitti tra individui che dispongono di una quantità di
potere uguale o relativamente uguale. Quando la differenza di potere
tra due persone è inesistente o minima, ci sono validi e ovvi
motivi per i quali nessuno dei contendenti tenta di usare il proprio
potere per risolvere il conflitto. Usare un metodo che si regge sul
potere quando non si ha vantaggio di potere, è semplicemente
sciocco e ci espone al ridicolo. Posso immaginare la reazione di mia
moglie se tentassi di usare il Metodo I per risolvere un conflitto
che talvolta insorge quando dobbiamo decidere quante persone
invitare a una festa. In genere io preferisco invitare più persone
di quante lei sia disposta a ricevere. Se le dicessi: ÇHo deciso di
invitare dieci coppie, non una di meno', dopo essersi ripresa
dall'iniziale sorpresa e incredulità, probabilmente mi
risponderebbe: "Tu hai deciso! Bene, Io ho appena deciso di non
invitare nessuno! Ma che bella idea! Spero che tu ti diverta a
cucinare la cena e a lavare i piatti!" Sono sufficientemente
avveduto per capire quanto il mio tentativo di utilizzare il Metodo
I in una situazione come questa sarebbe assolutamente ridicolo. E
mia moglie ha sufficiente forza (potere) nella nostra relazione per
opporsi a questo mio stupido tentativo di vincere a sue spese. Forse
le persone investite di uguale, o relativamente uguale, potere
(relazione egualitaria) raramente tentano di adottare il Metodo I .
Se talvolta una persona ci prova, l'altra non permette comunque che
il conflitto sia risolto in questo modo. Ma quando una persona pensa
di avere (o è certa di avere) più potere dell'altra, potrebbe
cedere alla tentazione di usare il Metodo I. E se quest'ultima
ritiene di avere effettivamente meno potere, ha ben poche probabilità
di non soccombere a meno che non scelga di resistere o lottare con
il potere che possiede per quanto minore esso sia. Mi sembra ormai
evidente che il Metodo III non si fonda sul potere o, più
precisamente, è un metodo Çsenza perdenti'; i conflitti sono
risolti senza vincitori né perdenti. Anzi, ambedue le parti vincono
perché la soluzione deve essere accettabile per entrambe. I
conflitti vengono risolti accordandosi reciprocamente sulla
soluzione definitiva. I bisogni del genitore e quelli del figlio
entrano in collisione. Il genitore chiede al figlio di partecipare
alla ricerca comune di una soluzione accettabile. Chiunque dei due
può suggerire possibili soluzioni che vengono poi valutate e
analizzate in modo critico da entrambi. Alla fine si approda insieme
a una soluzione definitiva accettabile per entrambi. Nessuno è
costretto a svendersi una volta che la soluzione è stata scelta
perché ambedue l'hanno accettata. Nessun potere è chiamato in
causa per costringere l'altro ad arrendersi perché nessuno si
oppone alla decisione.
Ecco
come fu risolto col Metodo III secondo quanto ci è stato raccontato
dal genitore: Gianna: Ciao, vado a scuola. Padre: Tesoro, sta
piovendo e non hai preso l'impermeabile. Gianna: Non ne ho bisogno.
Padre: Credo stia piovendo molto e mi preoccupa che tu possa
rovinarti i vestiti o buscarti un raffreddore. Gianna: Comunque io
non voglio indossare il mio impermeabile. Padre: Sembra proprio che
tu sia decisa a non volerlo mettere. Gianna: Proprio così. Lo odio.
Padre: Lo detesti proprio quell'impermeabile. Gianna: Sì, è a
scacchi. Padre: C'è qualcosa che proprio non ti piace degli
impermeabili scozzesi vero? Gianna: Già, a scuola nessuno ha
impermeabili come quello. Padre: E tu non vuoi essere l'unica a
indossare qualcosa di diverso. Gianna: Certo che no. Tutti portano
impermeabili in tinta unita: bianchi, blu o verdi. Padre: Capisco.
Beh, mi sembra proprio che ci troviamo in conflitto. Tu non vuoi
indossare quelI'impermeabile perché è scozzese, ma io non voglio
pagare la lavanderia per farti pulire i vestiti e non sarei certo
contento se ti prendessi un raffreddore. Riesci a pensare a una
soluzione accettabile per ambedue? Come possiamo fare in modo di
contentare tutti e due? Gianna: (dopo una pausa) Forse potrei farmi
prestare da mamma il cappotto che usa per andare in automobile.
Padre: Com'è fatto? E' in tinta unita? Gianna: Si è bianco. Padre:
Pensi che mamma te lo lascerà indossare oggi? Gianna: Vado a
chiederglielo. (Torna dopo pochi minuti con addosso il cappotto
bianco; le maniche sono troppo lunghe, ma le ha arrotolate). Mamma
è d'accordo. Padre: Ti va bene quello? Gianna: Sì, va benissimo.
Padre: Beh, credo che questo cappotto ti proteggerà dalla pioggia.
Così se a te va bene, son contento anch'io. Gianna: Beh, allora
ciao. Padre: Ciao. Buona giornata.
Cosa
è accaduto in questo caso? Ovviamente, Gianna e il padre hanno
risolto il conflitto. Questo esempio di risoluzione dei conflitti
con il Metodo III portano alla luce un aspetto assai importante che
in un primo momento non è sempre ben compreso dai genitori. Quando
si usa il Metodo III, di solito famiglie diverse trovano soluzioni
diverse al medesimo problema. Questo metodo permette di pervenire ad
una qualche soluzione accettabile sia per il genitore che per il
figlio, non è un metodo per ottenere un'unica soluzione universale
che debba essere considerata la migliore per tutte le famiglie.
Molta letteratura sull'educazione dei genitori si è orientata verso
la ricerca di soluzioni; per ciascun problema tipico concernente
l'educazione dei figli essa suggeriva ai genitori una soluzione
prestabilita, considerata dagli esperti la migliore in assoluto.
Da
questi ricettari i genitori potevano attingere le soluzioni migliori
a problemi quali: I'ora di andare a letto, I'indugiare a tavola, la
TV, il disordine in camera da letto, le faccende domestiche e così
via all'infinito. Ritengo invece che ai genitori basti semplicemente
apprendere un metodo specifico per risolvere i conflitti che possa
essere adottato con figli di tutte le età. In questo approccio non
esistono le soluzioni migliori adatte per tutte le famiglie o per la
maggior parte di esse. Una soluzione migliore per una famiglia
potrebbe non essere affatto la migliore per un'altra.
Perché
questo Metodo è efficace
1 Il
figlio è motivato a tener fede alla soluzione scelta
2
Soluzioni di alta qualità
3
Capacità di pensare
4
Meno ostilità, più Amore
5
Elimina la necessità di avere potere
6
Rivela i problemi reali
7
Tratta tutti come adulti
|
Figli
da 10 a 20 anni: che fare?
Sì,
recuperate il mistero
Tutto
chiaro, tutto scontato. Dove sono andati a finire il mistero, la
magia della vita, l'imprevisto e l'avventura? Quando i giovani non
sono abituati a incontrare l'ignoto lo cercano da soli, il più
delle volte confondendolo con il pericolo. Ecco, per evitare che
questo accada dobbiamo aiutarli a recuperare lo spirito di
avventura, stimolandoli con viaggi di ricerca che abbiano sempre un
obiettivo ma che lascino spazio anche alla novità e all'imprevisto.
Viaggi di scoperta, magari progettati insieme a noi ma non per forza
vissuti con noi. Se vogliamo sensibilizzarli a esperienze diverse da
quelle del quotidiano possiamo invece iniziare a frequentare con
loro luoghi suggestivi come il Planetarium: guardare le stelle, al
buio, serve a ricordarsi che facciamo tutti parte di un stesso
universo.
Decidere
tutti insieme
Nessuna
decisione della famiglia deve farli sentire esclusi. Anche se le
scelte e gli argomenti vi sembrano "da grandi". perché in
realtà loro sono grandi e come tali vorrebbero essere trattati.
Dopo aver esposto il problema che riguarda la vita familiare, sia
essa economica che di relazione, chiedete loro cosa ne pensano,
aiutandoli a formularsi un'opinione in proposito. I ragazzi hanno
spesso pensieri abbozzati che necessitano di un riferimento per
chiarirsi. Piccoli lavori e solidarietà Anche non retribuiti,
magari a contatto con persone che hanno bisogno di aiuto, per
stimolare la loro attenzione verso gli altri e per comprendere che
esistono azioni senza prezzo. Basta con la logica del
"risparmio a te di lavorare presto perché ho dovuto farlo io
...": piccoli e semplici lavoretti, in cui venga massa in gioco
la loro manualità, servono a diventare grandi, ad assumersi piccole
responsabilità, a capire che si fa fatica a guadagnare.
Ben
vengano i tabù
Regole
chiare e non atteggiamenti ondivaghi, di questo hanno bisogno i
giovani e noi dobbiamo avere il coraggio di definire queste regole.
Orari serali di rientro che vanno rispettati, divieti sull'utilizzo
della macchina di papà, paghette settimanali "sensate"
che devono essere ben amministrate. Insegnare ai nostri figli che
non siamo né amici né tantomeno nemici, ma "un'affettuosa
controparte", capace di dare dei limiti che, ricordiamoci, sono
fatti per essere superati, ma solo quando è il momento giusto. No
al tutto e subito "Voglio tutto e subito" e se non mi
viene dato me lo prendo da solo. perché mai non dovrebbero? Dal
momento in cui sanno che tutto si esaurisce qui, e che al di là di
ciò che vedono non esiste nulla? Ai giovani va riconsegnato il
tempo dell'attesa. L'attesa che viene esaudita, come capita per il
seme piantato nella terra che dopo mesi germoglia o come il fiore
che si trasforma in frutto. Dobbiamo fare in modo di trasmettergli
un pensiero più "largo", che permetta loro di vedere
oltre il limite del materiale.
Niente
discoteca prima del 16¡?
Di
per sè la discoteca è un posto come un altro, ma non possiamo fare
a meno di constatare che attualmente è il luogo per eccellenza dove
si respira e si assimila la psicologia del branco. Contatto
privilegiato tra giovani e droghe, spazio dello "sballo"
di fatto legittimato dalla collettività. Tenerli a casa è dura, ma
va fatto, almeno fino a quando non avranno dimostrato di possedere
una solida "impalcatura" che permetta loro di difendersi
dal vuoto invece che riempirlo con quello che hanno a portata di
mano. La ricchezza non è un valore! I soldi per i giovani, spesso,
sono tutto. Sono un mezzo per farsi accettare, per andare avanti.
Coi soldi si comprano i vestiti, quelli di moda, perché solo se hai
quelli giusti sei uno "sciallato", cioé uno in gamba, uno
da rispettare. La prima voce di spesa dei giovani è
l'abbigliamento. Secondo recenti sondaggi la maggior parte della
paghetta di ragazze e ragazzi viene immolato alla dea moda. Il resto
va dritto nella macchina, griffata anche quella. Abbattere il muro
del denaro, per un genitore, diventa allora un obbligo. Abituare i
nostri figli all'idea che si può ricadere in nuove forme di povertà
da un momento all'altro è solo raccontargli la verità. Adulti: che
fare per noi stessi
Sì,
stiamo da soli
Il
vuoto fa parte anche della nostra vita, impossibile negarlo. Quanti
di noi entrano in casa e accendono il televisore? Quanti al mattino
ripetono questa stessa operazione per timore del silenzio e della
solitudine? Imparare a stare da soli è l'antitesi della psicologia
del branco, dove per sopravvivere serve annullare le distanze dagli
altri e se non basta, calarsi nel mondo artificiale delle droghe. Se
siamo capaci di fare silenzio, fuori e dentro di noi, siamo anche in
grado di comunicare questa condizione ai nostri figli perché non la
temano come se fosse una malattia, ma riescano a viverla anche loro
con serenità.
Un
libro "diverso" sul comodino
Il
successo di libri come L'Alchimista o La Profezia di Celestino e la
nascita di 20.000 nuovi movimenti religiosi, sono il segno di una
necessità crescente di prospettive differenti in cui poter credere.
Provate a tenere sul comodino un libro da sfogliare ogni sera e su
cui fermarvi a meditare. A ciascuno il suo, quello che sente più
vicino al proprio modo di essere. Una visita al cimitero Almeno due
o tre volte all'anno, per ricordarti che vieni da lontano. Mentre ci
vai riporta alla mente con piacere tutti i ricordi della tua
famiglia, dagli albori a ora. Questo ti consentirà di pensare alla
tua esistenza come a una continuità invece che a una somma di
operazioni frammentarie. Cerca di fare così anche per la tua
giornata, come se una trama, la tua, si stesse sviluppando.
Mangiamo
insieme
Con
il vostro partner o, se avete figli, insieme a loro. Non è
necessario che accada tutti i giorni, ma quando riuscite a farlo
considerate quel momento di estrema importanza. Tutte le tradizioni
ritengono il momento del pasto come qualcosa di sacro, perché
mangiare rappresenta uno dei luoghi fondamentali in cui ogni
generazione cerca di affermare o costruire la propria identità,
quindi ogni individuo può entrare in relazione con il proprio
gruppo, confrontarsi ma anche scontrarsi e alla fine conoscersi.
Sogniamo ad occhi aperti Sei ancora in grado di stupirti? Ti lasci
trascinare dai sogni ad occhi aperti? Prova a stare mezz'ora senza
fare nulla di produttivo... senza che l'operatività prenda il
sopravvento.
E
sogna ad occhi aperti!
Il
futuro tuo e di quello dei tuoi figli dipende dai desideri che ti
crescono nel cuore! Seguiamo corsi di sviluppo personale insieme
Fare esperienze per ridiscutere insieme i propri ruoili e
aspettative è salutare per la solidità di una coppia. Prendiamoci
un pò di tempo A volte serve più qualche ora per noi stessi che
una lunga vacanza
*A
cura di Leonardo Milani
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N.B. Il dott. Carmelo IMPERA è disponibile per
incontri formativi e corsi sulla Comunicazione Interpersonale
Efficace
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