Noi non soffriamo dello shock
delle nostre esperienze - il cosiddetto trauma - ma facciamo di esse
esattamente ciò che serve ai nostri scopi. Noi siamo autodederminati dal
significato che diamo alle nostre esperienze, e probabilmente vi è sempre
un qualche errore nel prendere alcune particolari esperienze come base per
la propria vita futura. I significati non sono determinati dalle
situazioni, bensì noi determiniamo noi stessi tramite i significati che
diamo alle situazioni.
[A. Adler ]
L'ansia sociale è lo stato di
disagio soggettivo che si instaura in una persona quando è esposta
all'interazione sociale. Dico "esposta" perché sovente si
manifesta per il solo fatto che siano presenti altre persone, a causa
dell'impossibilità di non comunicazione in modo analogico. Essere
osservati significa, per l'ansioso, essere valutati, giudicati. Chi ha una
immagine negativa di sé teme che gli altri possano, osservandolo, capire
le sue carenze. Sovente l’ansia si manifesta in assenza della situazione
di riferimento a causa della predisposizione di molte persone a
preoccuparsi degli eventi futuri (previsioni negative).
L'ansia sociale può essere generalizzata
o circoscritta. Nel primo caso vi è disagio in qualunque
interazione, nel secondo solo in alcune situazioni critiche che variano da
persona a persona. La casistica elenca situazioni quali essere osservati,
esibirsi davanti ad un pubblico, mangiare al ristorante, scrivere in
presenza di altri, parlare al telefono, usare il gabinetto, esprimere le
proprie idee, affrontare esami e colloqui di lavoro, fare e ricevere
complimenti e richieste, fare compere, passeggiare o fare code, sostenere
il contatto oculare, corteggiare, preoccuparsi del proprio aspetto in modo
eccessivo.
Quest'ultimo problema può
rendere difficile distinguere l'ansia sociale dalla dismorfofobia, preoccupazione
irrazionale ed eccessiva per inesistenti o piccoli difetti fisici. Molti
personaggi famosi del mondo dello spettacolo soffrono di crisi d'ansia
(panico) causata dal timore di fallire davanti al loro pubblico. Il
seguente è un breve elenco di personaggi che hanno ammesso di avere
questo problema: Sir Laurence Olivier, Vladimir Horowiz (smise di esibirsi
per 15 anni), Arthur Rubinstein, Pablo Casals, Luciano Pavarotti, Carly
Simon, Barbara Streisand. Alcuni timidi evitano i contatti sociali per
timore di arrossire (eritrofobia); circa la metà delle persone con
fobia sociale ha questo problema. Altri sono sempre in imbarazzo quando
devono conoscere persone nuove. Altri ancora evitano le cene in compagnia,
anche da soli non vanno al ristorante. Una delle cause è il timore che le
mani incomincino a tremare versando le bevande dai bicchieri, oppure di
far cadere il cibo dal piatto o non riuscire a portarlo correttamente alla
bocca. Vi è chi non riesce ad usare il gabinetto in casa d'altri, nella
propria se ci sono ospiti, nei luoghi pubblici e sul lavoro. Questa
difficoltà li spinge a studiare attentamente gli orari in cui gli altri
usano i gabinetti per poterli usare in solitudine. Questo disturbo è più
diffuso tra i maschi e ha un'incidenza che varia dal 14 al 32 per cento.
Le conversazioni telefoniche
possono essere un problema. Vi è il timore di non sapere come sostenere
la conversazione, che si creino quelle silenziose e imbarazzanti pause che
costringono l'altro a chiedere: "Ci sei ancora?". Parlare in
pubblico e sostenere esami rappresenta una delle più sconvolgenti
situazioni. A volte queste paure si materializzano veramente. Gli
psicoterapeuti si trovano a dover aiutare persone che appena impugnano una
penna incominciano a manifestare tremore alla mano con conseguente
incapacità di scrivere. Altri hanno tremore alla mano se usano tazzine da
caffè o bicchieri leggeri; è facile capire cosa significa per queste
persone fare o ricevere inviti, firmare documenti. Potere del pensiero!
Solo la suggestione ipnotica può arrivare a produrre fenomeni simili! ma
non sono così duraturi.
C'è in generale il timore del
giudizio degli altri, di perdere il loro affetto, la loro benevolenza, la
loro stima, di esprimere i propri sentimenti e idee. La gravità di questa
patologia va dalla semplice timidezza alla vera e propria fobia sociale
con attacchi di panico. Il 20-50 percento delle persone afflitte da ansia
sociale ha attacchi di panico. Quando il panico non è una sporadica
esasperazione dell'ansia sociale va trattato come disturbo primario. Il
disagio soggettivo comprende sofferenze che, a scopo didattico, si possono
suddividere in cognitive, fisiologiche, comportamentali, sociali. Esse
sono in realtà come avvolte in una spirale perversa di reciproche
influenze negative; conferme e amplificazioni che perpetuano e aggravano
il problema.
Il disagio cognitivo si
concretizza con una sequela di pensieri inerenti conflitti, sensi di
colpa, ruminazioni mentali per eventi passati presenti o imminenti,
immagine negativa di sé, timore del giudizio altrui, idee di suicidio,
timore di perdere il controllo su sé stessi, paure del rapporto sociale,
incertezze sul proprio futuro, difficoltoso rapporto con il proprio corpo,
perdita della fiducia sulle proprie capacità d’efficacia ad affrontare
le situazioni problematiche. Negli attacchi di panico si può arrivare a
stati "dissociativi" con depersonalizzazione, derealizzazione e
svenimento.
Il disagio fisiologico
comprende una lunga lista di possibili reazioni mediate dal sistema
nervoso autonomo: rossore, sudorazione, tremori, tachicardia, dispnea,
capogiro, cefalea, vampate di calore, nausea, vomito, tensioni muscolari,
disturbi all'apparato digerente, vertigini ecc.
Il disagio comportamentale
consiste nel sentirsi costretti ad utilizzare comportamenti di fuga e di
evitamento per sfuggire all'ansia. Questo avviene così frequentemente che
il corpo sembra risponde più ad un sistema motorio riflesso che
volontario. Anche il conflitto, il comportamento goffo o impacciato, i
tremori di cui ho parlato prima, sottraggono il corpo alla sfera della
libertà e dell'autocontrollo.
(La "fuga" è
un comportamento che ci permette di sottrarci ad una situazione che per
noi è ansiogena. L' "evitamento" è un comportamento che
ci permette di non essere coinvolti in queste situazioni).
Il disagio sociale
implica doversi privare del piacere di vivere la vita dividendo il tempo
libero con i propri simili. Si rinuncia alle cene, al ballo, alle
passeggiate, al cinema, e così via. A queste situazioni ci si può
sottrarre, ma dove l'evitamento non è possibile la vita diventa veramente
difficile. Mi riferisco al lavoro e al contesto familiare. Il rischio di
perdere il lavoro è molto alto in certe professioni. Certe situazioni
famigliari non sono facilmente evitabili senza pagare "costi"
elevati.
Se osserviamo la piramide della gerarchia dei bisogni di Maslow notiamo che
le ansie sociali minano in modo evidente gli ultimi tre bisogni posti in
alto.
Ma, ad una più attenta analisi, ci accorgiamo che,
anche i primi due sono messi in discussione. Le condizioni fisiologiche
degli anassertivi, a causa degli stressor psicosociali autosomministrati,
sono largamente compromesse dalla serie di somatizzazioni di cui abbiamo
già parlato.
In aggiunta, il disagio
fisiologico ed emozionale, abbassa il grado di sicurezza sull’efficacia
personale ad affrontare le situazioni. Una bassa auto-efficacia determina
un abbassamento delle difese immunitarie. La depressione, inoltre,
favorisce la proliferazione di neoplasie e accelera la crescita di cellule
tumorali. Che dire poi del bisogno di sicurezza fisica in persone
anassertive-depresse con idee suicide?
Poiché questi bisogni si
fondano e sviluppano uno sull’altro è evidente il danno che ne deriva
alle persone afflitte da grave ansia sociale. Se questi disagi diventano
troppo intensi si prova un profondo smarrimento e la paura di impazzire.
Si diventa consapevoli di non avere più il controllo sui pensieri, sulle
emozioni e sul corpo. E' come essere al volante di una macchina che
sfreccia ai 200 all'ora e rendersi conto, all'improvviso, che tutti i
comandi sono fuori uso. E' un’emozione terribile. Non ci si deve
pertanto meravigliare se alcuni hanno attacchi di panico in assenza di un
pericolo visibile. Il pericolo è dentro, non fuori.
Essere stimati come persona
che non crea mai problemi, che attenua o evita i conflitti, che è
altruista, tranquilla, un vero amico, collaborativo, non può che sembrare
positivo ed essere appagante. Si tratta però di una strategia con dei
costi molto alti sul lungo termine.
Non esercitare i propri
diritti, inibire le proprie idee ed emozioni, centrare la propria vita in
funzione dei giudizi e desideri degli altri, tutto ciò porta ad un
abbassamento drastico dell'autostima, all'emergere di rabbia repressa,
sensi di colpa, depressione, conflitti e somatizzazioni.
In questo articolo non tratterò
le cause della timidezza, dell'ansia sociale, delle fobie sociali e della
depressione. Mi limito a dire che questi problemi vengono da lontano,
dall'infanzia e che crescono con preoccupante progressione in molte
persone.
Provate a formare una palla di
neve e fatela rotolare giù per un pendio nevoso: essa mentre rotola
raccoglie altra neve e diventa sempre più grande fino ad assumere
proporzioni notevoli; così è la vita per il timido, ma ciò che
raccoglie e in cui si avviluppa è una sequela di esperienze negative che
danno vita ad una struttura mentale tanto gracile quanto anomala. Ora
procediamo sul piano puramente descrittivo del problema.
ANSIA-EMOZIONI
E FALLIMENTO
Ansia e Emozione sono concetti
complessi e sfuggenti. Tante Suole tante idee: troppe definizioni, troppe
classificazioni, troppi criteri per definire e classificare. La
distinzione tra ansia e angoscia viene fatta solo nei paesi di Lingua
Latina; in Gran Bretagna e in Germania hanno una sola parola per entrambe:
Anxiety e Angst. Molti studiosi non distinguono l'ansia dalle emozioni
spiacevoli. Qui desideriamo solo evidenziare in modo semplice l'effetto
disgregante che hanno sul comportamento, utilizzando strumenti che siano
onnicomprensivi e descrittivi. L'ansia è trattata come comportamento
molare, l'emozione come molecolare.
L’ansia
riveste un ruolo determinante in tutte le situazioni della vita, comprese
quelle non sociali, generando stati emozionali che interferiscono sul
pensiero, sul comportamento e sulle emozioni. Le persone anassertive
sviluppano ansia associata al timore del giudizio degli altri. Ne consegue
che non emettono i comportamenti adeguati per timore, oppure falliscono
nel tentativo di farlo.
Qual'é il meccanismo che
sostiene l'impressionante mole di fallimenti dell'ansioso?
A monte di tali insuccessi vi
è una regola generale che vale per tutti a prescindere dal tipo di
problema o situazione:
oltre un certo limite
l'ansia abbassa l'efficacia di qualsiasi prestazione.
Paradossalmente, abbiamo
deciso di scegliere un esempio tratto dalla psicologia animale. Essa,
diversamente dall'etologia, studia gli animale con il preciso intento di
generalizzare i risultati all'uomo. L'esperimento che presentiamo è noto
a tutti gli studiosi, le risultanze sono leggi empiriche tra le più
solide che siano state formulate.
La generalizzazione all'uomo
si è dimostrata valida in settori diversi dell'apprendimento: motorio,
verbale, discriminativo (Patrick, 1934; Courts, 1939; Young, 1943; Stennet,
1957; e altri). E' un esperimento inquadrabile nel capitolo sperimentale
della "punizione". L'ansia che misura è situazionale (di
stato), solo nell'uomo è possibile misurare l'ansia come tratto della
personalità.
L'esperimento fu fatto nel
1908 ed è noto come la legge di Yerkes-Dodson.
Ratti divisi in 3 gruppi
devono apprendere a discriminare tra una scatola nera e una bianca. Quando
entrano in quella bianca possono proseguire per tornare al nido senza
problemi, quando entrano in quella nera ricevono una scossa elettrica,
dolorosa ma a basso amperaggio, che induce ansia. Variabili
manipolate:
Scossa: ogni gruppo è
sottoposto a diverse prove con le medesime variazioni di intensità della
scossa.
Difficoltà del percorso:1°
gruppo intermedia, 2° gruppo facile, 3° gruppo difficile.
Il rapporto tra ansia e prestazione può essere schematizzato sintetizzando
le tre curve come segue:
Come si può notare l'ansia
aiuta a migliorare la prestazione in modo ottimale quando oscilla tra il
40% e il 60 %. Si tratta di normale preoccupazione che stimola in modo
positivo la nostra attenzione per permetterci di dare il meglio di noi.
Oltre questo valore ha effetto disgregante sul comportamento.
Le te curve originali
evidenziano anche che l'effetto dell'ansia diminuisce con il diminuire
delle difficoltà del compito e del livello dell'ansia. Queste due
evidenze empiriche giustificano sperimentalmente il criterio di gradualità
nelle psicoterapie. Alcune, come la desensibilizzazione sistematica di
Wolpe, hanno fatto della gradualità un principio cardine. Nessuno però,
per quanto ci risulta, ha mai riconosciuto a Yerkes e Dodson, la paternità
di questo principio.
Le
emozioni concorrono, con l'ansia, a spiegare i tanti
fallimenti. Per evidenziarlo in modo intuitivo utilizziamo il concetto di
arousal (Moruzzi e Magoun, 1949; approccio neocomporamentale). Esso è lo
stato neurofisiologico in cui si trova la "formazione reticolare
ascendente" (RAS,una parte del cervello la cui sede neuroanatomica si
estende dal bulbo al talamo) conseguente alle sollecitazioni degli
stimoli.
Può andare dal sonno alla massima eccitazione. La sua funzione è quella
di inviare a tutta la corteccia impulsi che servono ad indurre od
aumentare lo stato di attenzione. Questo "bombardamento"
energetico, se non è troppo intenso, permetterà alla persona di
risolvere le situazioni in cui si trova. Superato un certo livello si
generano reazioni emotive negative che interferiscono con il
comportamento.
L'andamento della curva è
simile a quello della curva precedente e inoltre è evidente la
similitudine del concetto du arousal con quello di riflesso di
orientamento Pavloniano.
Gli "introversi"
hanno un arousal di base piuttosto elevato, sono pertanto svantaggiati
nell'esposizione a situazioni avversive. Stimoli avversivi deboli
producono efficaci condizionamenti a causa dell'elevato arousal, con un
numero di abbinamenti tra stimolo e organismo inferiori a quelli necessari
per l'estroverso. Questo non significa che gli estroversi sono immuni
dall'ansia. L'ansioso va oltre i valori ottimali di arousal e fallisce.
Il timido mentre tiene una
conferenza incomincia a dare esagerata importanza ad alcune reazioni
fisiologiche che percepisce (tachicardia, tremore alle mani, rossore
ecc.), teme che si incrementino impedendogli di esporre correttamente il
suo pensiero, teme che gli altri si accorgano del suo malessere e lo
possano deridere. Più ci pensa più i sintomi fisiologici si
intensificano e questi a loro volta intensificano le preoccupazioni di
fallimento, derisione, perdita di stima e valore. Alla fine può stare
talmente male da dover interrompere la conferenza.
Un maschio che abbia fallito
un rapporto sessuale può preoccuparsi a tal punto che, nel successivo
rapporto sessuale, fallirà per motivi simili a quelli che hanno causato
il fallimento del timido conferenziere.
Il fallimento è
contrassegnato da eccessiva auto-osservazione: viene prestata più
attenzione ai sintomi fisiologici e ai pensiero ansiogeni che al compito
da svolgere. Inoltre è probabile che il soggetto attivi l'abitudine a
fare previsioni negative; in questo modo rende reali le emozioni,
anticipando a livello fisiologico le reazioni congruenti ad una situazione
che non si è ancora verificata (traduzione dei pensieri nel linguaggio
analogico del corpo).
GIUDIZIO
ALTRUI E BENESSERE
Se non sono per me stesso, chi
sarà per me?
Se sono per me stesso soltanto, che cosa sono?
Se non ora - quando?"
[Detto Talmudico, Mishnah, Abot]
Il potere che gli altri esercitano sulle nostre capacità di esprimere
giudizi autonomi e di affermare noi stessi non deve essere sottovalutato.
Riportiamo un vecchio ma illuminante esperimento di S. E. Asch
sull'influenza del giudizio degli altri sulla nostra capacità di
esprimere il dissenso senza provare disagio emotivo. Un gruppo di 9
studenti di college viene portato in una stanza e viene loro detto che
dovranno confrontare la lunghezza di una linea campione con un gruppo di
tre linee di diversa lunghezza e indicare quale delle tre ha la stessa
lunghezza della linea campione. L'esperimento viene presentato come un
compito di percezione.
La prova viene ripetuta12
volte con linee diverse, diversamente posizionate, con lunghezze diverse e
presentate su cartoncini standard. L'esperimento ha una curiosa
caratteristica: 8 degli studenti sono d'accordo con lo sperimentatore per
dare la risposta giusta (5 volte) o sbagliata (7 volte) tutti insieme e a
prove alterne (alle prime 2 prove rispondevano correttamente); uno solo
di essi non conosce l'accordo ed è la cavia dell'esperimento e
deve esprimere il suo parere per ultimo.
Le cavie diedero segni emotivi
di grande disagio nel constatare che il loro giudizio era diverso da
quello espresso da tutti gli altri: perplessità, stupore, agitazione
motoria, osservazione delle linee da diverse angolature girando la testa,
ricerca di conferme dal vicino di banco con viso preoccupato, sommesse
risatine, alzarsi e avvicinarsi ai cartoncini per vederli meglio ecc.
Terminata la somministrazione
delle 12 prove veniva fatta una discussione di gruppo (5 minuti) e tutti
erano invitati ad esprimere il loro giudizio sui disaccordi. Quando la
cavia interveniva gli venivano fatte le seguenti domande in ordine
crescente: "Chi crede che abbia ragione?", "Vuol dire che
l'intero gruppo ha sbagliato e che lei solo è nel giusto?", "Si
fida proprio tanto del suo giudizio?", "Se dalla sua risposta
dipendesse qualcosa di veramente importante, se questa fosse una questione
con delle reali conseguenze, come agirebbe?", "Che cosa
penserebbe di tutto questo se fosse fuori dal gioco?". Terminata la
discussione di gruppo la cavia veniva intervistata individualmente dallo
sperimentatore che lo informava della reale natura dell'esperimento e del
suo ruolo di cavia. Le cavie furono 31 e complessivamente risposero in
modo sbagliato per uniformarsi all'opinione del gruppo nel 33% dei casi.
Vi furono differenze individuali notevoli: alcuni non si fecero
influenzare, altri si uniformarono totalmente alle risposte del gruppo.
Comunque tutti ebbero le seguenti reazioni in ordine crescente:
1.
rispettarono l'opinione del gruppo ;
- sentirono un notevole
disagio emozionale;
- attribuirono a sé stessi la
colpa della divergenza di opinione;
- tentarono poi di trovare una
spiegazione esterna, nel gruppo;
- concentrano maggiormente
l'attenzione sui cartoncini;
- continuarono a dubitare di sé
stessi non trovando una spiegazione per le divergenze;
- sentirono il desiderio di
essere in accordo con il gruppo per non sentirsi diversi;
- trovarono l'esperimento
molto stressante.
L'esperimento fu ripetuto con
un gruppo simile al precedente ma aumentando il divario (da 2,5 a 17,5 cm.)
tra la linea standard e quella che veniva deliberatamente indicata come
identica dal gruppo. Contrariamente alle aspettative i risultati furono
simili ma aumentò di molto il disagio emotivo nelle cavie che si
sottomisero al giudizio del gruppo.
L'esperimento fu poi ripetuto
con gruppi di sole due persone: gli errori di valutazione si ridussero
drasticamente ma il disagio cognitivo-emotivo fu il medesimo. Questo ci
porta a concludere che il gruppo più numeroso amplifica il disagio.
Fu poi fatto un esperimento
con un gruppo di 18 persone in cui un membro del gruppo (in accordo con lo
sperimentatore) dava sempre la risposta giusta e la dava prima della
cavia. La presenza nel gruppo di un "partner" a cui la cavia
poteva appoggiarsi ridusse drasticamente le risposte errate al 13% e
alleviò notevolmente il disagio emotivo. L'effetto del giudizio della
maggioranza del gruppo fu comunque rilevante rispetto ad un gruppo di
controllo.
L'esperimento fu ripetuto
invertendo le parti e i ruoli. Quando uno solo dava le risposte sbagliate
(in accordo con lo sperimentatore), il resto del gruppo manifestava prima
stupore, poi risatine e commenti ironici, poi risate clamorose e
contagiose. Si fece poi un esperimento in cui il gruppo era scomposto in
due sottogruppi di 9 persone informate e 11 ignare. Le reazioni del gruppo
non informato furono diverse. Non ci furono risate ma un serio tentativo
di capire le differenze. Restarono convinti del loro giudizio senza
emozioni negative. Pare dunque che la fiducia in sé stessi si fondi in
parte sul numero dei consensi che si hanno dagli altri.
"Non
puoi accontentare tutti,
accontentati
di accontentare te stesso!"
Accontentare noi stessi è un
nostro diritto. Se così facendo riusciamo anche ad accontentare
altri, ben venga. Quel che importa è non vivere in funzione del
piacere altrui. Temere di essere giudicati negativamente dagli altri
equivale a volerli soddisfare. Vi sono persone che costruiscono tutta la
loro vita in funzione del piacere ed il giudizio altrui. "Come mi
giudicheranno se metterò questo abito?", "Questa persona mi è
davvero simpatica, ma cosa penserebbero di me i miei amici se mi vedessero
andare in giro con un omosessuale?", "Vorrei piangere, ma non
posso! La gente attorno a me mi giudicherebbe debole. Devo trattenermi.",
"Quante domande vorrei fare a questo conferenziere, ma non posso! La
gente si renderebbe conto che sono ignorante.", "Come vorrei
dire a questa ragazza che mi piace, ma mi giudicherebbe uno
stupido!", "Cosa dirà mio padre?", "Cosa diranno i
colleghi?" Chi "spende" il suo tempo a preoccuparsi di cosa
pensano gli altri perde ogni buona occasione che gli si presenta di fronte
per affermare sé stesso, rinuncia a vivere la sua vita per soddisfare il
giudizio altrui. Molte occasioni "bruciate" non si
ripresenteranno mai più! Per soddisfare gli altri si deve costantemente
modificare il proprio comportamento in funzione del loro piacere. Questo
genera ansia e si finisce col divenire schiavi del giudizio altrui. Questo
è tipico delle persone Passive. Esse, quando parlano, cercano sempre
segni di approvazione nel loro interlocutore, temono di dire cose che non
piacciono. Questo continuo stare allerta genera ansia. La credenza a cui
fa capo questo comportamento passivo è: "Tutti sono in diritto di
giudicarmi. Io devo solo subire ed adattarmi!". La dipendenza dal
giudizio altrui comporta delle disfunzioni nel rapporto sociale tra cui:
-
DIFFICOLTÀ A FARE LE PROPRIE RICHIESTE
-
DIFFICOLTÀ A RIFIUTARE LE RICHIESTE ALTRUI
-
STRESS D’ADATTAMENTO ALLE ESIGENZE ALTRUI
-
VIVERE IN FUNZIONE DEGLI ALTRI
-
INCAPACITÀ DI GESTIRE I GRUPPI
SAPER
FARE RICHIESTE
Fare richieste è un nostro diritto,
così come è nostro diritto rifiutarle. Coloro che hanno grosse difficoltà
nel farlo si aspettano che gli altri capiscano da soli; vi è la
preoccupazione per l’altro, per il suo giudizio. Una persona può
ritenere scortese fare richieste, cortesia è: aspettare che ti sia dato!
Un’altra può porsi il problema se l’altro sentendosi obbligato ad
esaudirla potrà trovarsi in difficoltà. Un altro invece… Fatto sta che
il problema lo ha chi non è in grado di fare la sua richiesta, sta agli
altri decidere se accettare o rifiutare. Costruirsi castelli mentali con i
"se" ed i "forse" non aiuta a conoscere la risposta
alle nostre domande. L’unico modo per sapere come stanno le cose è fare
la nostra richiesta ed accettare che essa possa essere accolta così come
rifiutata; avere una giusta aspettativa.
SAPER
RIFIUTARE RICHIESTE
Rifiutare richieste, anche ad
un amico, è un nostro diritto. Ma vi sono persone che non sono in
grado di farlo. La paura di rifiutare una richiesta, di negare un favore,
è dovuta al timore di essere giudicati negativamente. Chi ha interagito
con persone Passive, che non sanno mai dire di no, sa bene che il loro
"sì" potrebbe anche voler dire "no". Esse possono
dire "sì" sul momento, solo per paura di essere giudicati male,
mentre invece avrebbero voluto dire "no". In seguito si
defileranno dall’impegno preso aspettandosi che l’altro capisca! Altri
diranno "sì" è terranno fede al loro impegno, anche se questo
gli causa dolore e disagio. Per loro l’idea di fare brutta figura o di
essere giudicati male è fonte di un disagio più forte che non l’agire
contro la propria volontà. La volontà altrui viene prima della propria!
Questo poggia su:
-
BISOGNO DELL’APPROVAZIONE ALTRUI (dipendenza dagli altri)
- PAURA
DELLA CRITICA (immagine negativa di sé stessi / dipendenza dal
giudizio altrui)
STRESS
D’ADATTAMENTO ALLE ESIGENZE ALTRUI
Il dover modificare
costantemente il proprio comportamento per andare incontro alle esigenze
altrui è molto stressante. Ogni volta che si esprime la propria opinione
ci si chiede se è sbagliata e si inizia a cercare di cogliere i segnali
non verbali dell’altro per capire se è d’accordo con ciò che abbiamo
detto. Questa costante attenzione genera ansia. Per accontentare gli altri
lasciamo scegliere a loro che film andare a vedere , in quale ristorante
andare a mangiare, anche quando non ci sentiamo di farlo. Quando la
relazione diventa "troppo pesante da reggere" per il Passivo,
egli lascia cadere l’amicizia, incomincia a trovare scuse per non
incontrarsi con l’altro. Invece bastava dire "no", "non
mi piace", "non sono d’accordo", e la relazione sarebbe
potuta continuare. Ma il Passivo dice "sì" controvoglia,
aspettandosi che l’altro "capisca da solo"!
VIVERE
IN FUNZIONE DEGLI ALTRI
La dipendenza dal giudizio
altrui può spingere le persone a costruire e condurre la propria vita in
funzione degli altri. Il condizionamento ambientale gioca un ruolo
fondamentale nella formazione dell’immagine sociale "ideale"
da raggiungere. Quanti genitori vogliono a tutti i costi veder diventare i
loro figli "avvocati, "dottori"! Altrettanti figli, pur di
accontentare i loro genitori, intraprendono carriere per le quali non sono
motivati, rivestendo ruoli in cui non si identificano. La corsa allo
status sociale porta le persone a gareggiare tra loro su chi ha
l’automobile più lussuosa, la moglie più bella, i vestiti all’ultima
moda. Comprarsi auto lussuose, sposarsi belle donne o vestire all’ultima
moda non è sbagliato, purché lo si faccia per sé stessi, perché
si ha piacere di farlo. Il costante senso di competizione con gli altri
genera ansia, ci porta a confrontarci con ci circonda, a mettere
costantemente in dubbio la nostra immagine, la nostra persona —
"Sarò all’altezza? Spiccherò? Sarò accettato?" La vera
domanda da porsi è: "Sono me stesso?". Sposarsi una donna solo
per fare bella figura alle cene d’affari non è il presupposto per la
costruzione di una famiglia, non è un gesto di stima verso sé stessi.
INCAPACITÀ
A GESTIRE I GRUPPI
Quando
un persona giunge a costanti compromessi con sé stesso per compiacere
l’amico, finisce con lo sviluppare tante "personalità" e
ruoli sociali quanti sono i suoi amici. Fin tanto che egli interagisce con
quelle persone a "tu per tu" riesce di gestire la situazione. Ma
cosa succede quando si trova a dover incontrare più amici assieme?
Automaticamente scattano l’ansia e l’incapacità di gestire le
"situazioni complesse". Ogni suo amico si aspetta che egli si
comporti conformemente al ruolo per il quale lo conosce, ma nel gruppo è
impossibile accontentare tutti contemporaneamente. Per questa ragione i
Passivi tendono a saper gestire meglio e prediligere le relazioni
individuali che non i gruppi. Nel gruppo essi si sentono spiazzati e
tendono a chiudersi in sé stessi. Così è in amicizia come sul lavoro,
la dinamica non cambia. Rinunciare a potersi sentire liberi di esprimere sé
stessi in mezzo ai propri amici è un prezzo alto da pagare. L’Assertivo
non dipendendo dal giudizio altrui è nella posizione di poter proporre sé
stesso in qualsiasi situazione. Ciò nonostante egli è in grado di
costruire relazioni diverse con ciascuna persona che frequenta. Lo sbaglio
che l’Assertivo non commette è quello di compromettere sé stesso per
accontentare l’altro. Con ogni persona egli costruirà una relazione
particolare a seconda di ciò che lo accomuna ad essa, ma senza per ciò
doversi modificare.
Tristano Aimone
N.B. Il dott. Carmelo Impera è disponibile per
incontri formativi e corsi sulla Comunicazione Interpersonale
Efficace
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